Immanuel Kant  

Biografia

1. Kant Precritico

a) ipotesi cosmologica

 

b) meccanicismo cartesiano e meccanica newtoniana

 

c) scienza meccanica

2. Esistenza e il metodo

3. Il criticismo

4. Estetica Trascendentale

5. Analitica Trascendentale

6. Dialettica Trascendentale

7. Ragion Pratica

8. Critica del Giudizio

Immanuel Kant nacque il 22 aprile 1724 a Konigsberg, I'attuale Kaliningrad, da famiglia di origine scozzese; il padre, sellaio, di modeste condizioni economiche, non esercitò mai una forte influenza su di lui; fu invece la madre che ebbe sul figlio un forte ascendente; donna estremamente religiosa, era legata al pietismo luterano che, diffidente verso ogni forma di religiosità esteriore, dava grande importanza all'esperienza morale, considerata come la vera fonte del sentimento religioso. Ad otto anni perciò il piccolo Emanuele Kant fu inviato al  Collegium Fredericianum, diretto da un noto pietista, dove fino a sedici anni ricevette un'educazione rigidamente religiosa.  Uscito dal collegio, Kant si iscrisse all 'università di Konigsberg, che frequentò tra il 1741 e il 1747, seguendo i corsi di logica, fisica, matematica e forse di teologia; nonostante che le università tedesche fossero dominate dalla filosofia wolffiana, Kant conobbe qui la fisica di Newton. Nel 1747 Kant concludeva gli studi e, data la scarsità di risorse economiche della famiglia, dovette adattarsi a fare il precettore presso nobili famiglie locali. Nel 1755 conseguì la libera docenza e l'anno successivo, sempre all'università di Konigsberg, ottenne un modesto incarico di professore straordinario di matematica e filosofia. Solo nel 1770 riusci ad ottenere la cattedra di ordinario di logica e metafisica, che terrà praticamente per un trentennio. Ordinato e meticoloso fino alla pedanteria, Kant era celebre, oltre che per la  sua statura di filosofo e scienziato, per la regolarità della sua vita privata; gli abitanti di Konigsberg lo vedevano tutti i giorni a passeggio ad una certa ora, seguito dal servo che gli portava l 'ombrello nei giorni di pioggia e solo poche volte il filosofo venne meno a questa consuetudine. La Rivoluzione francese suscitò i suoi entusiasmi di illuminista e le sue speranze in un mondo più ragionevole e umano. Dopo il 1790 cominciò ad avere gravi fastidi con le autorità, che gli rimproveravano una certa disinvoltura e spregiudicatezza nella trattazione dei problemi attinenti la religione. Tuttavia Kant, dopo un atto di formale subordinazione al potere, continuò a scrivere con la consueta franchezza, fino a quando la sua fragile salute lo sostenne. Gravi disturbi cerebrali lo afflissero negli ultimi anni e dopo l'anno '800 Kant non scrisse più; morì nel 1804. Le opere più significative di Kant sono le seguenti: Storia generale della natura e teoria del cielo... (1755);  L'unico argomento possibile per una dimostrazione dell'esistenza di Dio (1763);  Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime (1764);  Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica (1766).  Il periodo «critico» si apre con la  Dissertazione del 1770, intitolata  De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis cui fa seguito, dopo un lungo periodo di silenzio, la  Critica della ragion pura (1781) e i  Prolegomeni ad ogni futura metafisica che vorrà presentarsi come scienza (1783); tra il 1784 e il 1785 Kant pubblica una  Risposta al problema che cosa sia l'illuminismo e la  Fondazione della metafisica dei costumi, che costituisce la preparazione alla  Critica della ragion pratica del 1788. Nel 1790 viene stampata la Critica del giudizio, cui seguono  La religione entro i limiti della semplice ragione (1793), uno scritto Sulla pace perpetua del 1795, la  Metafisica dei costumi del 1797; in quegli ultimi anni Kant andava preparando un'altra grande opera che non poté portare a compimento e i cui frammenti sono raccolti nel cosiddetto  Opus postumum.

 

   

 

La critica della ragione in Kant

1. Kant giovane: l'ipotesi cosmologica e l'autonomia della scienza classica

 

a) L' ipotesi cosmologica e il problema della creazione

 

Il pensiero di Immanuel Kant (1724-1804) si delinea attraverso un lento processo di maturazione verso la metà del '700, nel clima della cultura illuministica europea, mediata in Germania dalle particolari caratteristiche della recente tradizione leibniziana e wolffiana,ma anche nel momento in cui l'illuminismo aveva accettato  il metodo sperimentale newtoniano come lo strumento più idoneo allo studio della natura e del mondo dell'uomo.    Kant nel 1755 pubblicava un'opera, Storia generale della natura e teoria del cielo..., di notevolissimo valore scientifico e filosofico.    Fra cosmogonie fisiche, cosmo-biologie e cosmo-geologie tipicamente settecentesche quest'opera assume dunque particolare rilevanza. Il lavoro precritico di Kant va collocato nell'intento filosofico di rompere il collegamento che si era strutturato fra meccanica celeste newtoniana e apologetica cristiana; è offerto il quadro di un mondo soggetto definitivamente a leggi-forze meccaniche e universali, impartite da Dio al momento della creazione: l'attrazione  e la repulsione. La materia si organizza «temporalmente» attorno a un punto centrale, evolvendo dal caos primordiale in cui era dispersa. Kant elabora una cosmogonia che, tematizzando anche il problema delle nebulose, estende la sua capacità di oggettivazione scientifica all'intero sistema stellare: le stelle appaiono come concentrate in enormi organizzazioni galattiche, ciascuna comprendente un mondo completo.    Al principio la totalità dell'universo era riempita da una materia sparsa allo stato molecolare e caoticamente disseminata in uno spazio infinito attorno a un punto centrale dalla densità massima. Con l'aumento progressivo della massa questo corpo centrale ha intensificato la propria forza di gravità, riuscendo ben presto ad attrarre particelle di materia sempre più distanti. Occorre aggiungere che i primi movimenti delle particelle sono causati dal fatto che esse hanno una struttura diseguale per cui quelle di specie più densa attirano la materia più lieve che le circonda (perciò il corpo centrale aumenta la sua massa). Alcune molecole, cadendo sul corpo centrale, vengono deviate dall'azione «repulsiva» causata dalle molecole disperse nello spazio circostante dando luogo a movimenti tangenziali. Le particelle compensate dalla forza centrifuga non cadranno sul nucleo ma descriveranno un moto rotatorio intorno ad esso. Si ha così l'origine di grandi vortici entro cui le parti di materia più densa attireranno le molecole circostanti, e inizieranno a formarsi nuovi nuclei periferici che, aumentando di massa, ruoteranno attorno al corpo primitivo centrale.  Questi iniziali centri di rotazione a loro volta formeranno centri di attrazione che daranno luogo a nuovi e più consistenti centri di aggregazione. In tal modo in un punto si concentra massimamente l'attrazione (è il caso del Sole) che ha un effetto su tutto il sistema e vi sono a loro volta altri centri di attrazione (per esempio i pianeti), rispetto ai loro satelliti. Lo stesso ordine che è nel nostro sistema planetario regna in quello stellare, poiché tutte le stelle si trovano su un piano comune che nel nostro caso è quello della Via Lattea, generando molti sistemi stellari disposti in modo regolare attorno al nucleo primordiale di materia.    Lo spazio cosmico dove è avvenuta la morfogenesi della materia è, in ogni specifico periodo, finito. Oltre c'è il caos.La storia della natura è ciclica.  Negare alla natura questa capacità evolutiva, dice ancora Kant, significa fare di essa un «perpetuo    miracolo»; soltanto la legge di gravitazione newtoniana regola l'intero sistema cosmico, una legge che è «semplice, feconda delle più regolari  conseguenze e degna che le si affidi la conservazione di un intero universo».

   L'immagine dell'universo è emancipata dal collegamento teleologico che conduceva a Dio come fondamento teologico: fisica e teologia sono una volta per tutte disgiunte.   La nozione dell'obiettività e autosufficienza della natura (e quindi della necessità di una sua interpretazione in termini di un sistema di princìpi ad essa intrinseci), in equilibrio perfetto a causa delle sue leggi-forze «interne» derivava a Kant prima di tutto da una enfatizzazione dell'ottimismo leibniziano, un «superottimismo»; il male del mondo, vecchio cruccio dell'ottimismo metafisico, è eliminato perché è eliminato l'antropocentrismo che lo sostiene: il male è tale soltanto rispetto ai sistemi di fini propri dell'uomo. In tale modo Dio resta colui nel cui intelletto è lo schema essenziale del mondo, un mondo con cui Dio ha un rapporto unico  e non reiterato di volontà. La vecchia teleologia della fisica che conduceva direttamente alla teologia diventa qui un'autoteleologia della natura (cioè un'autorealizzazione progressiva); alla teologia Kant intenderà giungere per altre vie, lontane da quella che parte dalla «contingenza» del mondo. E' eliminata quella relazione fra natura e religione che, in prospettiva antropologica, considerava la natura come il luogo dove, per il tramite di un legame provvidenziale, si definisce il rapporto fra uomo e dio; è già implicita l'idea dell'autonomia della scienza (che è da Kant rigidamente individuata entro il perimetro della fisica newtoniana) rispetto alle interferenze di natura religiosa tipiche di tutto il periodo della rivoluzione scientifica. Nel contempo il disegno divino del mondo, pensato secondo la massima razionalità possibile, diventa il correlato di garanzia dell'autonomia del mondo della natura (e insieme la sua condizione di intelligibilità) che si presenta come una «necessità» assoluta rispetto all'uomo:

 

   b) «Meccanicismo» cartesiano e «meccanica» newtoniana

Nell 'Allgemeine Naturgeschichte Kant intende «dedurre dallo stato primitivo della natura, col solo aiuto della meccanica, la formazione dei corpi celesti e l'origine del loro movimento»: quando Kant usa in questa frase la parola meccanica si riferisce al sistema di Newton. Il campo newtoniano è però organizzato all'interno dell'alone epistemico caratteristico della tradizione della cosmologia meccanicistica cartesiana, con la sua connotazione «evolutiva»; ciò interagisce a sua volta in ordine al già visto problema dell'autonomizzazione del piano della natura (e della scienza) in rapporto all'ambito teologico. Per l'ortodossia cristiana il meccanicismo cartesiano era sinonimo di ateismo. Del resto la lettura libertina del cartesianismo conduceva effettivamente, con l'enfasi sull'autosufficienza della natura, al materialismo e all'ateismo integrali. Kant giovane rifiuta queste conclusioni intorno al meccanicismo cartesiano proprio elaborando il nuovo discorso che permette di conciliare autonomia della natura (e della scienza) ed esigenze della religione: l'evoluzione autonoma  della natura è la prova che essa attua un piano intelligente, che è quello della creazione. Sulla via cartesiana Kant, per garantire l'autonomia della conoscenza scientifica, in polemica anche coi teologi della scuola wolffiana, espunge da essa tutte le cause finali, luoghi dei reiterati inserimenti provvidenziali della fisica teologica, e ritiene legittime nella scienza soltanto le cause efficienti.  Le cause finali venivano esclusivamente viste da Kant in riferimento al loro collegamento diretto con l'azione della provvidenza e non  come forme possibili di un'organizzazione specifica—appunto «finalistica»—di un sapere, quello della vita. Se Kant recepisce i motivi cartesiani del meccanicismo e dell'evoluzione, tralascia però le leggi del movimento di Descartes, sostituendole con quelle newtoniane (ormai accettate nel continente) dell'attrazione (e della repulsione ).

   In Kant le leggi e i princìpi di Newton esprimono—empiristicamente—delle vere e proprie forze fisiche che reggono la struttura dell'universo e rappresentano dei «fatti» costanti della natura (quindi le leggi newtoniane non sono considerate come mere ipotesi matematiche, né come forze occulte, come voleva l'ortodossia cartesiana del continente). Nel filtro evoluzionista cartesiano di Kant l'attrazione diventa perciò una forza inerente alla materia. Attraverso la trasformazione della nozione di attrazione, Kant si convince che la considerazione fisico-matematica della storicità evolutiva dell'universo «raggiungerà nell'avvenire la stessa perfezione» della considerazione fisico-matematica realizzata nella gravitazione universale. Eliminata la possibilità di un sapere biologico come scienza specifica, l'universalizzazione della spiegazione meccanica transita anche al problema della vita; il sapere della meccanica è immaginato come perfettibile e potenzialmente in grado di spiegare tutti i processi della natura. Kant, attraverso la collocazione delle forze (estratte come si è visto dal contesto delle leggi newtoniane risostanzializzate) all'interno della natura (con la complicità di un meccanicismo cartesiano in continua evoluzione), giunge all'ipotesi della temporalità cosmogonica.    Con la combinazione di Newton e cartesianismo è aperta la via per giungere ad un meccanicismo universale di tipo deterministico: le forze newtoniane (che agivano nella gravitazione universale come oggettivazioni di un universo in movimento, ma statico) diventano paradossalmente esplicative di una storicità dell'universo pienamente dominata dalla struttura della causalità:—newtonianamente— effetti comuni devono essere fatti risalire alla stessa causa, «dato il carattere di uniformità del sistema planetario siamo portati a pensare che una medesima causa, quale essa sia, ha esercitato un medesimo influsso su tutta l'estensione del sistema». E la via per cui prende appunto forma l' esito determinista, possibile nel collegamento fra «spiegazione» scientifica newtoniana e «causalità» meccanicistica cartesiana.

     

c) L 'esigenza dell 'ampliamento della scienza meccanica

Come si è visto, c'è in Kant una doppia presenza scientifica: quella di origine cartesiana, che conduce alla metaforizzazione del tempo, della durata, dell'evoluzione e quindi all'esigenza del discorso cosmogonico; quella newtoniana che porta al privilegiamento della dinamica e della meccanica celeste e che guida l'interesse cosmogonico in riferimento alla materia inanimata. E c' è la coesistanza di due effetti epistemici: da una parte Kant si sente newtoniano e porta a compimento il progetto di autonomizzazione della natura (e del sapere scientifico), con le complesse tematiche prima analizzate. (determinismo   universale).    Dall' altra  Kant, nell'Allgemeine Naturgeschichte, attiva il modello di un'altra scienza, una scienza futuribile antinewtoniana, ove emerge il problema dell'«evoluzione», del divenire storico della natura. La cosmologia kantiana funziona come una grande metafora biologica, la cui competenza appartiene ad un sapere specifico in cui l'elemento della temporalità organizzatrice sia fondamentale (dalla cosmologia alla biologia), svalutando al tempo stesso la matematizzazione in fisica (Cartesio e i razionalisti) e alla già vista rivalutazione dell' elemento dell'ipotesi: la cosmogonia è un'ipotesi razionale suffragabile da prove empiriche. Per Kant, che si sente newtoniano, prevale certamente l'elemento teorico della meccanica e l'idea di avere costruito un'ipotesi dello sviluppo dell'universo che non postula uno sconfinamento dall'ambito privilegiato della scienza classica.    Naturalmente al tempo di Kant, in assenza di un sapere scientifico tutto si spiegava con un determinismo che, come sempre, ipotizzava una verità obiettiva, irraggiungibile solo a causa dell'irrimediabile ignoranza dell'uomo (è impossibile avere un'esperienza diretta delle condizioni iniziali che consentirebbe di cogliere in un sol colpo tutto il passato e tutto il futuro dell'evoluzione naturale), ma approssimabile attraverso il «perfezionamento» della scienza (nel caso, della meccanica e dei suoi apparati matematici). La  cosmologia kantiana può essere collocata nella preistoria dell'affermazione ottocentesca di un sapere diverso da quello fisico-chimico e aperto allo studio della storicità dell'universo ma anche degli «organismi». L' idea di fine naturale che non è una categoria ma un' idea regolatrice e che può essere applicata soltanto con massime è la strada che percorre la Critica del giudizio.  

   

2.  L'esistenza e il metodo

 

Negli scritti più rilevanti degli anni immediatamente successivi, come La vana sottigliezza delle quattro figure sillogistiche del 1762 e L 'unico argomento possibile per una dimostrazione dell'esistenza di Dio del 1763, Kant rivela sempre più chiaramente come egli vada cercando il suo spazio speculativo oscillando fra la tradizione leibniziana-wolffiana, le suggestioni di una scienza sperimentale ormai adulta com' era quella di Newton, e i suggerimenti critici e scetticheggianti che gli venivano dall'empirismo radicale di Hume. Nello scritto sulle quattro figure sillogistiche, ad esempio, già sottolinea, in polemica col formalismo, che i giudizi logici fondati sul principio di identità si limitano a ribadire nel predicato ciò che già era implicito nel soggetto, e quindi non ci possono offrire conoscenze nuove; l'osservazione, come vedremo meglio in seguito, costituisce un importante precedente alla famosa critica rivolta ai giudizi analitici e pone il problema della esigenza del rinnovamento della logica, visto che quella formale di origine aristotelica non risulta utilizzabile nei confronti delle connessioni messe in luce dalla scienza sperimentale.    Nel secondo scritto citato riguardante la dimostrazione della esistenza di Dio, Kant ribadisce il rifiuto del formalismo razionalistico, nei confronti delle pretese della teologia che pretende dare razionalmente ragione dell'esistenza di Dio, e quindi distinguendo tra quello che è il metodo di ricerca metafisico e quello fisico-matematico; egli contesta così la validità della prova ontologica, che dal concetto di perfezione divina ricava illegittimamente il concetto di esistenza: il pensare una realtà in tutta la sua possibile ricchezza non autorizza nessuno ad ammetterne l'esistenza, che non è un'implicazione formale della realtà pensata, ma può essere solo una constatazione di fatto. Così non reggono né la prova cosmologica, che risale dal dato empirico all'esistenza di una causa indipendente che però non può essere necessariamente dimostrata, e nemmeno quella dell'ordine del mondo, che risale all'esistenza di un artefice intelligente e onnipotente, perché tale prova non ha nessun rigore geometrico, anche se possiede sempre una certa suggestione.

   Tuttavia, nonostante queste critiche, Kant ritiene ancora che in qualche modo l' esistenza di Dio sia dimostrabile, e a tale scopo sostiene che se noi affermiamo col pensiero l' idea del possibile, dobbiamo anche supporre un essere esistente, perché se niente esistesse, niente potrebbe essere pensabile come possibile. In realtà Kant rovescia qui l'argomento ontologico che passava dall' idea dell' essere perfetto alla sua esistenza, e in definitiva è così poco sicuro della sua stessa prova, che giunge ad  affermare che se è bene persuadersi dell' esistenza di Dio, non è altrettanto necessario dimostrarla rigorosamente, così come si dimostra un teorema. Queste oscillazioni del Kant precritico sono ben comprensibili se si pensi alla forte influenza esercitata su di lui da Leibniz, dal quale aveva anche ereditato il problema dei rapporti tra Dio e il mondo, problema che Kant mira, in un primo tempo, a risolvere secondo il criterio dell'ottimismo, per cui il male sarebbe solo il frutto di una visione antropologica, cioè a misura dell'uomo, della natura. Ma se noi riusciamo, invece, a cogliere la natura secondo un suo piano di obbiettività, allora comprenderemo «che l'intero è ottimo, e tutto è buono in rapporto all'intero».  In questa fase precritica, Kant è ancora legato alla tradizione dogmatico-metafisica, ma le cautele con cui egli procede rivelano l'influenza che su di lui comincia ad esercitare il pensiero empiristico di Hume, con le sue note critiche al concetto di sostanza e di causa. I Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica del 1766, è uno scritto molto significativo, perché rivela già chiaramente come Kant abbia assimilato gli elementi critici di Hume e come, nello stesso tempo, egli abbia ormai individuato quelle che saranno le future linee di sviluppo della sua ricerca filosofica. In quest'opera, infatti, egli affronta con elegante ironia il problema posto da un fecondo quanto visionario teosofo svedese, certo Swedenborg, sulla possibilità di un rapporto con il mondo degli spiriti. Kant sfrutta il tema per polemizzare con i visionari che gli stanno a cuore, cioè i metafisici, tutti occupati a costruirsi fantastici castelli sospesi tra le nuvole, senza preoccuparsi, come fanno gli scienziati, di reperire un qualche piano comune che li possa trovare d'accordo. Illuministicamente Kant avverte che il metodo scientifico sperimentale deve indicare alla metafisica i suoi stessi limiti, per distogliere i visionari dalle loro fantasie e permettere la costruzione di una filosofia capace di dar vita a un sapere solido, incontrovertibile e quindi oggettivo. Sulla linea dell'empirismo inglese della tradizione newtoniana, Kant ribadisce la necessità che, alla base della formulazione di ogni possibile giudizio, debba esistere una precisa esperienza. I giudizi analitici—secondo la lezione di Leibniz—non sono utilizzabili, perché sono giudizi che non hanno bisogno di esperienza, in quanto si limitano ad esplicitare, nel predicato, un aspetto già noto del soggetto, come quando io affermo che un quadrato ha quattro angoli. Per costruire l'esperienza occorrono altri giudizi, quelli sintetici, che devono giustificare rigorosamente l'applicazione di un predicato, non implicito nel soggetto, al soggetto stesso. E in questa fase del suo pensiero che Kant, sulle orme di Leibniz, intuisce definitivamente che l' esperienza è attività e non pura passività, e che il compito della filosofia è appunto quello di chiarire la portata e i limiti di questa attività del pensiero.

 

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3. Il «criticismo»  come analisi dell'intelletto e nuovo criterio   di oggettività

Nel 1770, divenuto professore ordinario all'università di Konigsberg, Kant inaugura l'insegnamento ufficiale con una Dissertazione sulla forma e i princìpi del mondo sensibile e intellegibile;  con questo scritto, con cui ha inizio lo svolgimento più maturo del pensiero di Kant, viene impostato il problema dello spazio e del tempo, che Newton aveva considerato dimensioni oggettive, e che invece Kant comincia a considerare come funzioni o forme di conoscenza della sensibilità la quale intuisce e organizza i dati sensibili, mentre l'intelletto coglierebbe le essenze intelligibili. In quest'opera il procedimento kantiano è ancora malcerto, ma ormai emergono le linee fondamentali della sua nuova concezione, che viene da lui elaborata durante il decennio successivo nella Critica della ragion pura del 1781 (la seconda edizione sarà del 1787), e nei Prolegomeni ad ogni futura metafisica del 1783 che dovevano costituire un'esposizione più semplice e didattica del contenuto della Critica. L' originale filosofia kantiana, chiamata criticismo appunto perché consiste tutta in un riesame delle possibilità del pensiero (krino = giudico), è indubbiamente il frutto più maturo di tutta l'esperienza epistemologica dell' illuminismo. La ragione nell' illuminismo era sempre stata considerata come lo strumento fondamentale della critica, l'unica fonte capace di legittimare sia la ricerca scientifica che la vita morale. Kant assume direttamente ad oggetto della sua analisi filosofica la ragione medesima così che la sua filosofia diviene una critica della ragione. La filosofia deve dire entro quali limiti si circoscrive la validità cognitiva della scienza, quali discorsi di natura cognitiva, viceversa, non hanno validità scientifica, in quali forme è configurabile la ragione nella esperienza morale e in quella estetica.   Dal punto di vista gnoseologico la tradizione interpretativa ha mostrato nella filosofia critica lo strumento teorico che opera una sintesi tra la tradizione razionalista, leibniziana e cartesiana, e quella empirista di Hume e di Newton. Il razionalismo infatti, secondo il punto di vista kantiano, cerca di conoscere tutto il reale muovendo dal presupposto, peraltro dogmatico,  che il pensiero conoscente possieda una sua struttura data a priori, o comunque un patrimonio di idee e concetti già realizzati, come, secondo una tradizione di origine platonica, erano appunto le idee innate di Cartesio. Di conseguenza il processo conoscitivo, da tale punto di vista, consiste nell'applicazione ai dati sensibili dell'esperienza di questi contenuti concettuali del pensiero stesso; in questo modo il mondo dell'esperienza e della sensibilità, veniva obbligato ad adattarsi ai presupposti del pensiero, come accadeva in molti casi a Cartesio e ai cartesiani, quando volevano spiegare il mondo fisico. Dal punto di vista razionalistico, quindi, secondo Kant, la natura si adatta al pensiero perché essa stessa è già aprioristicamente costruita come il pensiero, e di conseguenza tutta la scienza fisica è una sorta di sterile analisi che prende atto di ciò che già è dato come esistente e realizzato. E in questo senso che Kant simboleggia il procedimento conoscitivo razionalistico come una serie di giudizi analitici a priori, in quanto inerendo sempre il predicato al soggetto, questo giudizio rispetta rigorosamente il principio di identità, e quindi è universale e necessario, ma non produce nulla di nuovo ed è quindi infecondo. Se io infatti affermo che «i corpi sono estesi», il concetto di estensione, che fa da predicato, non aggiunge nulla di nuovo, perché già nel pensare il concetto di corpo ero costretto a pensare l'estensione, e di conseguenza questo giudizio analitico a priori è rigoroso, ma non contribuisce ad estendere il mio sapere. L' empirismo, all' opposto, affermando radicalmente che il sapere ha origine solo nell' esperienza che ci  giunge da un possibile mondo esterno, sempre secondo il punto di vista di Kant, finisce col considerare il sapere, e quindi la scienza, come un accumularsi di notizie e dati tra i quali non possiamo reperire legami necessari e universali, ma che, secondo l'acuta  analisi di Hume, possiamo collegare solo in base alle ragioni soggettive dell'associazione intellettuale per abitudine. Anche l' empirismo, quindi, non può darci ragione di un sapere fondato. Kant simboleggia questo criterio gnoseologico con il giudizio sintetico a posteriori nel senso che, come nel giudizio «i corpi sono pesanti», il predicato «pesanti» è veramente un'acquisizione nuova, cioè una sintesi feconda. Ma tale concetto si aggiunge al soggetto «corpi» solo in seguito all'esperienza e non per intrinseca necessità, per cui il giudizio risulta fecondo, ma privo di necessità e universalità. L' insufficienza delle concezioni gnoseologiche tradizionali che si dimostrano incapaci di dar ragione del sapere, visto che il razionalismo deve arroccarsi nel dogmatismo e l' empirismo è costretto allo scetticismo, induce Kant a proporsi il problema in termini molto diversi, e ad inaugurare un metodo rivolto ad indagare in primo luogo le strutture e le modalità con cui il pensiero opera, per capire se sia possibile giustificare la conoscenza, senza ridursi a soluzioni dogmatiche o scettiche, mediante giudizi sintetici a priori, cioè fecondi ma nello stesso tempo anche universali e necessari. Il procedimento studiato da Kant, il criticismo, mira perciò a valutare i modi in cui si articolano la sensibilità, l' intelletto e la ragione, che sono i tre momenti in cui si esplica il pensiero, e muove non tanto dall'esperienza concepita come qualcosa di già compiuto e costituito, ma dal pensiero stesso, allo scopo di cogliere quei procedimenti con cui viene costruito il mondo dell'esperienza. E in questo senso che, a proposito del suo criticismo, Kant afferma di aver compiuto una sorta di rivoluzione copernicana; infatti, come Copernico aveva a suo tempo rovesciato il rapporto tra la Terra e il Sole, così egli ritiene di aver rovesciato il rapporto tradizionale tra la realtà sensibile del mondo dell'esperienza e il pensiero; mentre quest' ultimo era stato sempre considerato come uno specchio riflettente un mondo reale esterno già costituito,  Kant, rovesciando il rapporto, ritiene che il mondo dell'esperienza altro non sia che il risultato dell'attività del pensiero. In questa prospettiva Kant pensa di poter ristabilire il valore oggettivo del sapere, perché se esso è pur sempre frutto dell'esperienza, questa stessa esperienza si costituisce regolarmente ad opera del pensiero stesso, secondo norme e strutture costanti che inseriscono nel processo della esperienza un processo di oggettivazione che ne garantisce la validità. Il problema kantiano è dunque la costituzione della oggettività del sapere.  

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  4. L'«Estetica trascendentale»: spazio e tempo

 

Critica della ragion pura: critica o esame della ragione, «pura» nel senso di una ragione non ancora impegnata nella costruzione del mondo dell'esperienza, ma studiata esclusivamente nelle sue strutture e possibilità. In questa prospettiva, Kant rivela appunto la sua profonda fedeltà allo spirito illuministico, che in genere aveva sviluppato una serie di ricerche riguardanti molteplici piani dell'esperienza, come quella etico-politica, del linguaggio, delle scienze fisiche, naturali e biologiche. Kant mira con rigore metodico a studiare le modalità più generali secondo le quali il pensiero agisce nella costruzione del mondo dell' esperienza che non è una realtà già data che il pensiero rispecchia in partenza, ma il risultato dell'attività organizzatrice del pensiero stesso. Questa ricerca, quindi, non tende a dar ragione del pensiero dell' uomo secondo prospettive metafisico-teologiche, come era stato nel caso di Cartesio o di Spinoza, ma più semplicemente e illuministicamente secondo un'esigenza rigorosamente scientifica di carattere antropologico* e quindi attenta ad evitare ogni slittamento metafisico, che approda a risultati di grande rilievo.

 

*Quando Kant parla del pensiero, a differenza degli idealisti che da lui prenderanno le mosse, intende parlare del pensiero del singolo uomo che è corporeità e attività pensante contemporaneamente; in questo senso si può parlare di una ispirazione «antropologica» di Kant, il quale è chiaramente impegnato ad evitare ogni astratta generalizzazione che può favorire in terpretazioni metafisicheggianti e quindi antilluministiche.

 

       La prima parte della Critica della ragion pura, intitolata «Estetica trascendentale», è da Kant dedicata alla soluzione del problema dello spazio e del tempo. Il termine estetica, dal greco aisthànomai = «intuisco», è qui usato da Kant per indicare il carattere intuitivo della sensibilità, considerata come il momento iniziale e insopprimibile di ogni possibile processo conoscitivo;  il termine trascendentale*, che si distingue nettamente da «trascendente», sta per Kant ad indicare un puro elemento a priori che però non è trascendente, cioè non ha un' esistenza in sé, distinta dall'esperienza, come un' idea platonica o un' idea innata cartesiana, ma è soltanto una pura possibilità, che si rivela e diventa pensabile solo dal momento in cui costruisce le dimensioni dell'esperienza.

 

*. La filosofia della «trascendentalità», inaugurata da Kant con il criticismo, è illuministicamente intesa a individuare gli elementi fondamentali in base ai quali il pensiero costruisce il mondo dell'esperienza, senza ricorrere a supporti o dati metafisici come Dio, le idee innate l'anima sostanziale e simili; quindi le strutture trascendentali del pensiero, cioè l'attività spazio-temporalizzatrice della sensibilità e le categorie dell'intelletto, non devono essere ripensate da noi come realtà per se stesse esistenti ma come funzionalità possibile di cui cogliamo le tracce e i segni nell'esperienza già realizzata.

 

 Per Kant la sensibilità non è pura passività, ma è soprattutto attività, nel senso che anch' essa possiede un carattere costruttivo che si manifesta nell' originaria attitudine della sensibilità stessa a costruire lo spazio e il tempo. Più semplicemente, Kant ritiene che spazio e tempo non siano realtà o dimensioni oggettive esistenti per se stesse, come voleva la tradizione e come aveva ribadito Newton, ma piuttosto modi di estrinsecarsi della sensibilità che avvia ogni processo conoscitivo possibile, in primo luogo costruendo dimensioni spaziali e temporali, senza le quali non potremmo neanche cominciare a pensare. Da tale punto di vista noi non impariamo a conoscere lo spazio e il tempo dall'esperienza, ma piuttosto costruiamo spazialmente e temporalmente l'esperienza stessa, dato che non possiamo pensare un oggetto se non nello spazio, e un fatto se non in una successione temporale. Queste attitudini originarie della sensibilità sono dette da Kant intuizioni pure a priori dello spazio e del tempo, o anche senso esterno e sen so interno, e il rilievo del tutto originale dato ad esse permette a Kant di concretare un primo, importante risultato della sua ricerca. In una simile prospettiva, infatti, risulta possibile dare una fondazione teorica corretta a strutture, lo spazio e il tempo, che sono fondamentali nella scienza. Per Kant il vero problema è quello di descrivere il sapere, l'esperienza concreta, come una serie di giudizi aventi la caratteristica di essere universali e necessari come quelli analitici a priori, ma anche fecondi, cioè estensivi del sapere, come sono quelli sintetici a posteriori; cioè si tratta di vedere se il sapere può costituirsi mediante giudizi sintetici a priori, cioè fecondi e nello stesso tempo universali e necessari.     La soluzione indicata per ciò che concerne la sensibilià, risolta nelle due attività trascendentali a priori spazializzatrice e temporalizzatrice, permette appunto un esito di questo tipo. L'aritmetica e la geometria, in questa prospettiva, divengono infatti due scienze che possono essere giustificate proprio secondo giudizi sintetici e priori, perché scaturiscono da intuizioni costruttive, come nel caso della più semplice operazione aritmetica; se consideriamo, ad esempio, il giudizio 7 + 5 = 12, il predicato 12 non è un semplice giudizio analitico a priori,  ma nemmeno una constatazione che nasce dall' esperienza, cioè un giudizio sintetico a posteriori, per cui ogni volta che sommo il 5 e il 7 ottengo il 12. Secondo Kant, il 12 è frutto di un calcolo, e quindi di un'esperienza, e perciò il giudizio è fecondo ovvero sintetico, ma per di più quel risultato è rigoroso, cioè anche necessario e universale e quindi a priori, perché si costituisce in base a una intuizione temporale, grazie alla quale colui che calcola, pur conservando l' idea delle singole unità distinte le une dalle al tre, riesce ad intuirle tutte assieme come in un'unica intuizione temporale, cioè come successione, che, come si diceva, è appunto una costante della sensibilità.  Il giudizio 7 + 5 = 12 è quindi un giudizio sintetico a priori

   Lo stesso ragionamento vale anche per ogni giudizio riguardante la geometria, che ha il suo elemento a priori nell'intuizione originaria dello spazio; da tale punto di vista Kant può allora concludere che l'aritmetica e la geometria, proprio perché si costituiscono secondo ineliminabili modalità di funzionamento della sensibilità intesa come intuitività spazio-temporalizzatrice assolutamente originaria, possiedono una oggettività che trova concordi tutti coloro che si occupano di tali discipline; non si tratta più, è vero, di una oggettività esterna al pensiero, e perciò dogmatica e irraggiungibile, ma di una oggettività costruita dal pensiero stesso, investito dal criticismo illuministico di Kant di una responsabilità centrale e totale.

 

 

   

5.  L'"Analitica trascendentale" come fondazione delle scienze fisiche

Nella seconda parte della Critica, la Logica trascendentale, Kant passa dall' esame della sensibilità a quello dell' intelletto e della ragione, nelle due sezioni rispettivamente intitolate Analitica trascendentale e Dialettica trascendentale. Nell' Analitica trascendentale  il termine «logica» non è inteso tradizionalmente come studio degli aspetti formali del discorso, ma come esame «analitico» delle pure forme a priori dell'intelletto, che Kant chiama categorie, le quali permettono al pensiero di costruire compiutamente il mondo dell' esperienza. L'intelletto, infatti, secondo Kant, opera sulle intuizioni sensibili elaborate dalla sensibilità, che è intuizione spaziale e temporale. Bisogna tener presente però che la distinzione tra sensibilità e intelletto è rimarcata solo per ragioni didattico-espositive, perché in realtà i due momenti, nell' unità dell'atto intuitivo-conoscitivo, cioè sensibile e intellettuale, sono strettamente connessi e singolarmente, isolati l' uno dall'altro, essi non potrebbero sussistere: l'intuizione sensibile senza l'atto conoscitivo non potrebbe essere conosciuta, e viceversa un' intellezione senza contenuto sensibile risulterebbe del tutto vuota. Pertanto le intuizioni sensibili divengono l'immediato contenuto delle categorie o forme pure a priori intellettuali, che operano in modo costante e uniforme, disponendo le intuizioni sensibili secondo precise esigenze implicite alle categorie stesse. Conoscere, per Kant, è attività sintetica dell'intelletto che dispone i contenuti sensibili in un ordine intrinseco alla stessa attività sintetica capace di organizzare le originarie intuizioni sensibili secondo un ordine determinato. Di conseguenza, i giudizi che Kant chiama percettivi, consistenti nello stabilire soggettivi e momentanei collegamenti tra sensazioni diverse, sono i giudizi che non possono avere nessuna pretesa di scientificità e descrivono l'esperienza abitudinaria proprio secondo l'analisi di Hume. Ma questi giudizi come «oggi il sole scotta», «questo vino è aspro» sono soggettivi, e quindi non scientifici, non perché non corrispondono a nulla, ma perché non sono elaborati dalle categorie trascendentali dell'intelletto, e quindi non sono debitamente strutturati come i veri giudizi d'esperienza, i quali sono invece validi, perché vengono costruiti dal rigore delle categorie stesse, come nel caso dell'affermazione «l'acqua bolle a 100 gradi», che è giudizio valido ora e sempre, per me e per tutti, ed è quindi oggettivo e scientificamente corretto; i giudizi d'esperienza sono quindi giudizi sintetici a priori, creativi di un sapere necessario e universale perché fondati su un'esperienza organizzata dalle funzioni pure a priori dell' intelletto, cioè dalle categorie, presenti nella mente di tutti i pensanti. Kant afferma che le categorie intellettuali sono dodici; ma, con una curiosa contraddizione, ricava questo numero dai dodici tipi di giudizio elencati dalla logica formale, dimenticando che proprio il suo criticismo propone una logica nuova, intesa come studio delle capacità sintetiche e costruttive del pensiero, e che invece i dodici tipi di giudizio della logica tradizionale sono prospettive del tutto formali e astratte ricavate a posteriori dal linguaggio già costituito. Tuttavia, ciò che importa rilevare è che Kant con il suo criticismo ritiene di avere individuato le modalità di funzionamento dell'intelletto umano nelle categorie che, operando sui contenuti dell'intuizione sensibile, stabiliscono relazioni e rapporti costanti. Secondo lo schema costruito da Kant, le dodici categorie si dividono in quattro gruppi, e cioè secondo la quantità, la qualità, la relazione e la modalità, in base a questa articolazione:

quantità: molteplicità, unità, totalità;

qualità: realtà, negazione, limitazione;

relazione: sostanzialità, causalità, azione reciproca;

modalità: possibilità e impossibilità, esistenza e non-esistenza, necessità.

Le categorie intellettuali sono il ritmo costante del pensiero che ordina e costruisce il mondo fenomenico che riconosciamo nelle scienze fisiche e naturali, cioè nella consapevolezza scientifica e rigorosa del mondo dell'esperienza. Kant ha cercato anche, con la teoria degli schemi trascendentali, di chiarire come ogni singola categoria possa applicarsi nel modo dovuto al fenomeno o alla serie di fenomeni che le competono. Le categorie della relazione, ad esempio, come quella di sostanza e di causa ed effetto, tendono ad entrare in funzione quando un'intuizione sensibile permane nel tempo e noi ci rappresentiamo la sostanza, oppure quando due intuizioni si susseguono regolarmente e entra in funzione la causalità, per cui noi ci rappresentiamo oggettivamente i fenomeni in relazione causale*.

 

*. Kant ha dovuto affrontare il problema di come le categorie si applichino ai contenuti delle intuizioni sensibili e si è sforzato di risolverlo nel capitolo sullo «Schematismo trascendentale» in questi termini: una intuizione sensibile deve avere una sorta di predisposizione a farsi sussumere da una data categoria. L' operazione è possibile, afferma Kant, solo mediante uno schema intermedio tra intuizione  sensibile e categoria intellettuale, prodotto dall'immaginazione che produce a priori il modello di possibili oggetti d'esperienza.     

 

 Quelle relazioni che Hume considerava effetto dell' abitudine, e pertanto rimanevano relazioni labili e soggettive che mettevano in crisi lo statuto del sapere scientifico, in Kant sono relazioni costruite necessariamente a priori dall' intelletto, il quale agisce in quel modo e non in un altro, fissando una stabile trama di fenomeni ricostruibili sempre con rigore scientifico.

   Kant ritiene  che la scienza, non è una realtà a sé, autonoma rispetto al pensiero come voleva il razionalismo dogmatico, ma una tessitura operata dal pensiero stesso. Di conseguenza il mondo della natura che noi conosciamo e sperimentiamo, non è una realtà assoluta indipendente da noi, ma è una realtà che ci appare così come è perché il nostro pensiero la dispone così in questi termini, secondo l'esigenza organizzativa che gli è propria; la realtà è cioè «apparizione»  ovvero fenomeno, e la scienza è quindi scienza di fenomeni. In definitiva la nostra sensibilità e il nostro intelletto operano su un materiale ignoto, che tuttavia prende forma nella nostra esperienza. Questa realtà esterna e inconoscibile è una sorta di «idea limite» che Kant definisce noumeno o cosa in sé, avvertendo però che ad essa noi  non possiamo, come vorrebbe illusoriamente il nostro intelletto, attribuire una relazione di causa con il fenomeno, perché la categoria della causa può essere applicata solo alle intuizioni che si presentano nello spazio e nel tempo. Se infatti la cosa in sé  fosse percepibile e organizzabile dalle categorie intellettuali, essa diverrebbe immediatamente un fenomeno come tutti gli altri, che rimanderebbe l' intelletto ad un'altra realtà ultima posta alle sue spalle. Kant, cioè, per dimostrare che il mondo delle relazioni è scientificamente conoscibile, lo descrive come il risultato di una serie di attività della sensibilità e dell'intelletto, rimuovendo così definitivamente il tradizionale dualismo, gnoseologicamente insuperabile, che la tradizione aveva stabilito fin dall'antichità, tra il  pensiero e l' essere delle cose, e concludendo in un fenomenismo radicale, frutto dell'attività del pensiero e dal pensiero reso coerente. In tal modo il mondo fenomenico realizza una sua oggettività, poiché di fronte ad esso concordano tutti i pensanti. La fisica e le scienze naturali in genere non potevano trovare una più circostanziata giustificazione teoretica. Kant ha rivolto la sua attenzione esclusivamente all'attività strutturante del pensiero  che egli definisce io penso o anche appercezione trascendentale, in quanto coscienza unitaria che dà senso continuativamente, come un punto di riferimento costante, al succedersi delle intuizioni e delle intellezioni. L' io penso è per Kant la garanzia che la molteplicità dei dati possa essere composta nell' unità interiore della coscienza del soggetto pensante e in quella superiore unità che tutti i possibili soggetti pensanti possono trovare tra loro, appunto nell' esperienza e nella scienza di un mondo che appare oggettivo proprio per questa continuità della struttura razionale dell' io.  

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6. La «Dialettica trascendentale» e  il desiderio della metafisica

L' «Analitica trascendentale» chiarisce i procedimenti con cui l' intelletto costruisce, mediante le dodici categorie, il mondo fenomenico dell' esperienza; nella sezione della «Logica»  che segue l'«Analitica», cioè nella «Dialettica trascendentale», Kant affronta il difficile problema mirante a chiarire quella ineliminabile tendenza del pensiero umano e superare i limiti dell' esperienza e a costruire oggetti metafisici, e quindi trascendenti, che dall'antichità classica fino al grande razionalismo seicentesco sono stati l' obbiettivo più rilevante della speculazione filosofica. Secondo Kant, è l'intelletto che costruisce il mondo dei fenomeni, scientificamente descritti come concatenazioni di dati, tra loro collegati dal principio o categoria di causa ed effetto; queste concatenazioni, come nel caso della fisica, hanno una loro oggettività in quanto prodotti dell' attività del pensiero, tuttavia sono aperte e ingiustificate ai loro estremi, ovvero muovono da dati di partenza assunti come dati originari, come potrebbe essere per la fisica il concetto di corpo, massa, movimento e simili. L' intelletto, come costruttore di concatenazioni scientifiche, si adatta a questa disposizione e a questo tipo di sapere, ma quando il pensiero si fa ragione, tenta allora di elaborare giustificazioni più ampie e totali, prive di soluzioni di continuità, per cui ogni elemento della concatenazione deve trovare sempre e comunque il suo antecedente. In questa prospettiva il pensiero-ragione supera l' intelletto e si spinge avventurosamente sul terreno infido delle costruzioni metafisiche, che tanti equi voci hanno ingenerato nella tradizione filosofico-scientifica. Dal punto di vista di Kant questa aspirazione della ragione alle costruzioni metafisiche è illegittima, perché la ragione umana, in questo caso, pretende usare le categorie, funzioni specifiche dell'intelletto che possono essere applicate soltanto ai contenuti delle intuizioni sensibili, alla costruzione di realtà ideali e totali, le idee trascendenti che, nell' intenzione dei metafisici, dovrebbero dare una spiegazione globale della realtà del mondo e dell'uomo, in una prospettiva in cui tutto deve apparire come giustificato*.

 

* La ragione, cioè, è quel momento in cui il pensiero, come insofferente dei limiti fenomenici dell' esperienza sensibile, vuole cogliere e abbracciare il reale senza soluzioni di conti nuità; in questa aspirazione, la ragione crea le idee trascendenti, cioè si raffigura realtà totali che trascendono appunto l'esperienza sensibile. La teologia, ad esempio, è un tipico atteggiamento della ragione umana in questo senso.

 

Operando in questo senso, la ragione costruisce appunto le idee trascendenti, idee che Kant mette in discussione proprio perché dal punto di vista del criticismo, appaiono arbitrarie e illegittime.  Le idee trascendenti elaborate dalla ragione che dovrebbero dar ragione della totalità senza lasciare spazio al dubbio e al mistero e quindi dovrebbero soddisfare compiutamente il pensiero umano, le sue ansie etiche, scientifiche e religiose, sono, secondo la tradizione, l' idea dell' anima o idea psicologica, l' idea cosmologica e l' idea teologica. In questo compito, il torto della ragione sta nel fare uso delle categorie intellettuali senza riferimento, però, ai necessari contenuti sensibili, e per tanto essa immagina e si illude di poter cogliere tutte le serie sensibili e di abbracciare in un' unica prospettiva tutta la realtà.  L' idea psicologica, oggetto della psicologia razionale, è la tradizionale idea di un'anima sostanziale; noi, dal punto di vista del criticismo, sappiamo soltanto che l'io penso è attività unificatrice, cioè un assieme di funzioni. Osserva Kant che è errato e illegittimo trasformare l'unità delle funzioni dell' io in una sostanza e di conseguenza l' idea trascendente di anima è un' idea metafisica illusoria e la scienza che la riguarda, la psicologia razionale, è un inganno. L' idea cosmologica, frutto della cosmologia razionale, è un'altra idea trascendente che consiste nella pretesa della ragione di pensare tutto il reale, il cosmo, come una serie di cause ed effetti globalmente raccolti in una prospettiva unitaria, secondo la tradizionale concezione aristotelico-tolemaica. Su queste tre idee e sulle loro possibili opposizioni, la ragione offre quattro dimostrazioni che però contrastano le une con le altre in maniera radicale, e alle quattro tesi che sostengono il primo punto di vista stanno di fronte puntualmente quattro antitesi ugualmente corrette; nascono così le antinomie della ragione, cioè soluzioni del tutto divergenti o dialettiche*,

 

*Per Kant la dialettica è solo una contrapposizione che rivela l' illusorietà di un conflitto derivante dall'uso illegittimo delle categorie intellettuali.

 

 perché, secondo Kant, l' idea della totalità non può essere applicata ai fenomeni, che sono rappresentazioni esistenti solo nella dimensione della successione e non altrimenti.

 

 

 

Le antinomie cui dà luogo l'idea cosmologica sono le seguenti:

  Tesi                                                                            Antitesi

1. Il mondo ha un' origine nel tempo ed è limitato nello spazio.   1. Il mondo non ha origine nel  tempo, né nello spazio.  
2. Nel mondo ogni sostanza   consta di parti semplici o atomi.   2. Nessuna sostanza composta consta di parti semplici, ma     tutto è divisibile all' infinito.  
3. Oltre alla causalità naturale vi è anche una libera causalità. 3.Non vi è libertà, tutto si    svolge per causalità naturale  
4. All'inizio delle cause agenti vi è un essere necessario.    4. Non vi è alcun essere necessario, né nel mondo, né fuori: tutto è contingente.  

La ragione, quindi, crea soluzioni contrastanti o dialettiche.

 L'idea teologica, la terza idea trascendente costruita dalla ragione, è il frutto della teologia razionale, nasce cioè dall'esigenza metafisica tradizionale di superare il senso della contingenza e precarietà dell'esperienza, mirante a concretare l' idea di un essere supremo che appaghi appunto il bisogno della ragione che aspira ad una prospettiva totale della realtà.    In base a questa sua pretesa, la ragione metafisica ha elaborato attraverso i tempi alcune prove fondamentali dell'esistenza di Dio che in ultima analisi si riducono a tre: la prova ontologica, la prova cosmologica e quella fisico-teologica. Nella «Dialettica trascendentale», Kant riprende e approfondisce gli argomenti teologici affrontati nello scritto del 1763 L'unico argomento possibile per una dimostrazione dell'esistenza di Dio ed il suo atteggiamento, ora, approda a risultati del tutto negativi.    La prova ontologica, famosa nel medioevo per essere stata proposta da Anselmo d' Aosta, afferma che Dio, essere perfettissimo, proprio per questa sua assoluta perfezione non può mancare dell'attributo dell'esi stenza, e quindi negarlo è contraddittorio; ma, obbietta Kant, l'esistenza non è un predicato qualsiasi concepibile come un'implicazione logica di un concetto, perché l'esistenza è la «posizione» di una data cosa e non è quindi deducibile logicamente. L'esistenza è un fenomeno, e i fenomeni si accertano mediante l'esperienza nello spazio e nel tempo, e in questo senso la prova ontologica non accerta nulla. La prova cosmologica, muovendo dall' esperienza, sostiene che il mondo è una serie di concatenazioni causali contingenti; siccome, afferma questa prova, non si può risalire all'infinito nella concatenazione causale, bisogna arrestarsi all'esistenza di una realtà assoluta e necessaria che è Dio. Ma, obbietta Kant, il passaggio dalla serie di cause contingenti all' essere assoluto non è necessario, perché è proprio l'esperienza ad insegnarci che tutto è sempre e soltanto passaggio dal condizionato alla condizione; per Kant, l'argomento cosmologico nasconde in realtà la logica di quello ontologico già confutato.   La prova fisico-teologica ricava l' esistenza di un creatore dall' ordine e dall'armonia dell' universo; ma quel tanto di ordine e armonia esistenti nell' universo possono far pensare al massimo a un architetto ordinatore del medesimo, potente e buono, ma non ci autorizzano a pensare ad un creatore onnipotente e onnisciente, perché per far questo dobbiamo ancora una volta sottintendere l'argomento ontologico.    Con la sua polemica contro la teologia razionale e anche contro il deismo illuministico, Kant non intende confutare la possibilità dell'esistenza di Dio, ma si limita a sostenerne l' indimostrabilità razionale e cioè l' impossibilità della teologia e di ogni metafisica in genere che si voglia proporre come una scienza vera e propria; da un punto di vista razionale, su Dio nulla si può argomentare, né a favore della sua esistenza, né in contrario. Il problema di Dio, semmai, riguarda la sfera della vita morale, non l'attività conoscitiva.   La ragione quindi sembra fallire del tutto nella sua pretesa di giustificare la realtà in un' organica visione totale, e di conseguenza ogni metafisica che pretenda argomentare in modo scientifico non ha possibilità di approdare legittimamente a un qualche risultato. Kant ammette che l'aspirazione della ragione, pur essendo vana, è una illusione trascendentale, nel senso che essa ragione è strutturalmente obbligata a questa aspirazione alla totalità, aspirazione che se pur fallisce nel tenta tivo di costituire oggetti trascendenti, deve avere una sua funzione. A questo proposito Kant parla di una funzione regolativa  della ragione, cioè di una sorta di azione stimolatrice sull'intelletto, il quale, pur legato e costretto al mondo dei fenomeni, è indotto dalla illusoria aspirazione della ragione alla totalità, ad allargare in un processo infinito le sue costruzioni concettuali-fenomeniche. L' esigenza metafisica, respinta sul piano propriamente conoscitivo, viene così riaffermata da Kant sul piano più specificamente morale e costituirà il problema di fondo della sua Critica della ragion pratica, nella conoscenza, quando si allenta il controllo metodico, si infiltrano esigenze della volontà.  

 

7. Il problema morale nella «Critica della ragion pratica»

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      Kant estende lo stesso metodo alla ricerca dei fondamenti dell'attività morale, allo scopo di offrirle una giustificazione di fondo rigorosa, non dissimile da quella indi viduata a giustificazione del procedimento conoscitivo.   L' indagine sulla conoscenza in definitiva sembra aver radicalmente deluso ogni aspirazione all'assoluto incondizionato, perché la fedeltà di Kant al programma illuministico di una ricerca rivolta esclusivamente ai campi esperibili dal metodo scientifico ha eliminato la possibilità di ogni metafisica. Per un altro verso è opportuno tener presente che Kant, pur apprezzando la concezione etica inglese fondata sul sentimento morale e sulla simpatia, così come l'aveva ricostruita David Hume, ritiene che tale punto di vista sia troppo fragile, perché il sentimento è, in genere, evento troppo marcatamente soggettivo, relativo a situazioni date, e spesso in contrasto con altri sentimenti ed emozioni che hanno pur sempre la loro forza soggettiva. In uno scritto del 1785, Fondazione della metafisica dei costumi, Kant già esprimeva queste riserve e, interpretando il pensiero di Rousseau, i cui scritti egli aveva a suo tempo letto con appassionata attenzione, già insisteva sul valore interiore e profondo della moralità, intesa roussoianamente come dignità e autonomia spontanea di ogni essere umano.

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In questo primo scritto di carattere morale Kant ha già individuato, quindi, i princìpi generali della teoria che gli si va chiarendo, princìpi che qualche anno dopo, nel 1788, svolge con maggiore ampiezza e rigore nella Critica della ragion pratica.  Kant affronta il problema morale muovendo dal punto di vista che l' uomo è contemporaneamente sensibilità e ragione, per cui se egli fosse solo sensibilità, a guidare la sua azione sarebbero gli impulsi  sensibili del desiderio, mentre se fosse solo ragione, ogni sua volizione sarebbe per se stessa razionale. In realtà l' uomo, essendo sensibilità e ragione contemporaneamente, può seguire questa o quella, è cioè libero di scegliere le pulsioni sensibili o gli ordini della ragione. Kant ritiene che il problema morale si giochi tutto in questa tensione bipolare, e che il vero problema etico sia per l'uomo quello di far prevalere la razionalità come guida dell'azione. Quando l'uomo agisce, è spinto da pulsioni che ne determinano l'azione e la scelta: di conseguenza l'azione potrà essere morale o meno. Fin dall'antichità, la speculazione filosofica ha sempre cercato di individuare le vere e profonde motivazioni delle nostre scelte morali, e nella storia del pensiero umano sono state offerte le giustificazioni più diverse dell'agire umano, che è stato spiegato con la ricerca del piacere, dell'equilibrio interiore, dell' utilità del singolo o della collettività, con la necessità dell' obbedienza alla volontà degli dèi o di Dio. Secondo Kant, però, tali giustificazioni sono tutte insufficienti, in quanto sono eteronome, ossia sono dettate da norme o che provengono dall' esterno o sono comunque soggettive, cioè nascono da situazioni contingenti e particolari o, come nel caso della morale religiosa, derivano da una certa tradizione in cui il soggetto è stato educato, che potrà essere cristiana, buddista o pagana.  Kant ritiene di poter affrontare il problema etico seguendo lo stesso metodo usato nella Critica della ragion pura; come esistono, cioè, strutture trascendentali quali le categorie, che ci permettono l' enunciazione di giudizi conoscitivi sintetici a priori del tutto validi sul piano gnoseologico, così deve esistere la possibilità, ricercata appunto nella Critica della ragion pratica, di giudizi pratici sintetici a priori che ci permettano di realizzare una vita morale fondata non su elementi eteronomici o soggettivi, ma su un elemento universale e necessario.    Questa sollecitazione autonoma, che riceve cioè la legge solo da se stessa, è quello che  Kant chiama l' imperativo categorico, che dal profondo dell' interiorità dice semplicemente «tu devi», secondo una libera scelta, che è appunto scelta morale e quindi libertà, imperativo che rappresenta un'azione come oggettivamente necessaria per se stessa, senza alcun riferimento ad un altro fine. Un tale imperativo ha carattere formale nel senso che non enuncia o prescrive questa piuttosto che quell'azione, ma ammonisce ad agire in modo tale che la nostra azione possa sempre valere da norma universale per ogni uomo, in ogni possibile circostanza *.

 

*. Per meglio chiarire la natura dell'imperativo categorico, Kant ne dà tre formulazioni aventi un valore esplicativo:

I. Agisci come se la massima della tua azione dovesse, per tuo vo/ere, divenire una legge universale. Cioè, più semplicemente, scegli come massima del tuo agire sempre e comunque una norma adottabile universalmente e se per assoluta necessità, ad esempio, sei tentato dal furto, tieni presente che la regola del furto non potrebbe mai essere universalizzabile.

II . Agisci in modo da trattare l'umanità, tanto nella tua persona, quanto nella persona di ogni altro uomo, sempre come fine e mai come semplice mezzo; questo significa che bisogna sempre rispettare la persona umana in ogni tipo di rapporto. Coltivare un'amicizia, ad esempio perché la cosa è vantaggiosa, è kantianamente un atto immorale.    

III. Agisci in modo che la tua volontà possa istituire una legislazione universale; il che significa «sii legge a te stesso», «sii autonomo».

 

    Per Kant, in definitiva, il problema è quello di chiarire il fatto che le nostre scelte non devono essere determinate da motivi estrinseci, anche se socialmente accettabili; se io compio un'azione comunemente ritenuta buona perché sono spinto dal piacere che provo al consenso o agli applausi degli altri, io già non compio più una azione morale, ma un'azione qualsiasi, cioè indifferente, rispetto a una problematica morale, perché in quel caso io non ho agito in ottemperanza all' imperativo categorico, ma in conseguenza di una spinta determinata o dalla vanità, o comunque in vista di un sia pur legittimo piacere personale.    In pratica, però, la nostra vita morale si realizza attraverso azioni tendenti a realizzare fini, e per realizzare i diversi fini occorrono mezzi e strumenti empirici; quindi la vita morale si concreta in scelte di determinati mezzi per determinati fini. A questo proposito Kant, accanto all'imperativo categorico, pone gli imperativi ipotetici, che comandano qualcosa appunto nell' «ipotesi» che si voglia realizzare questo fine piuttosto che quello; nell' ipotesi che io voglia diventare un chimico esperto, «devo» seguire certi studi e non altri, mentre se voglio fare il politico, dovrò usare mezzi di altro genere. Gli imperativi ipotetici, che sono regole di abilità e suggerimenti di prudenza, per se stessi non sono né morali né immorali; essi diventeranno morali solo se saranno messi in atto in ottemperanza ai dettami formali, ma necessari, dell'imperativo categorico; un imperativo ipotetico quindi è come un' arma, che di per sé non è né buona né cattiva, ma potrà diventare uno strumento morale o immorale a seconda della volontà di chi l' impugna. L'imperativo categorico, che si esprime nella formula «agisci solo secondo quella massima che la tua volontà possa elevare a legge universale», ha come caratteristiche l'autonomia in quanto non dipende da nulla, l'universalità in quanto prescrive azioni universalizzabili, e la formalità, in quanto non prescrive contenuti particolari, ma è solo la forma generale senza la quale nulla si configurerebbe in una prospettiva etica.    La moralità per Kant è, in ultima analisi, volontà buona che il soggetto morale tende a realizzare superando gli impulsi sensibili come gli istinti e le passioni che lo legano al mondo fenomenico caratterizzato da un rigido determinismo meccanicistico; è volontà buona che al limite può giungere, nel soggetto morale, alla denegazione anche dell'istinto della conservazione. Ma la volontà morale come nucleo della vita interiore dell' uomo si trova in una netta contrapposizione con il mondo fenomenico, che è causalità fisica deterministica, del tutto estraneo alla volontà morale, che è invece intenzionalità finalistica e profonda razionalità. L' esigenza morale, quindi, rispetto al mondo fenomenico sembra alludere ad un mondo di libertà e finalità, che né l' esperienza sensibile né la conoscenza scientifica riescono ad intravvedere, e di conseguenza l' esperienza morale è allusiva di una realtà metafisica o sovrasensibile che si sottrae alla causalità fenomenica. Questa esigenza viene chiarita da Kant con la teoria dei postulati della ragion pratica, che esprimono tre fondamentali esigenze della volontà morale, che per sua intrinseca necessità «postula», con una sorta di atto di fede, proprio ciò che la conoscenza fenomenica non poteva pretendere di raggiungere: questi tre postulati*sono la libertà,  l 'immortalità dell'anima  e l'esistenza di Dio .

 

*Un postulato è un'ammissione o una richiesta di ammissione, di una certa proposizione o verità, peraltro non dimostrabile, ritenuta necessaria per argomentare una certa dimostrazione; il postulato, peraltro, può anche vcnir denegato senza contraddizione.

 

   Il postulato della libertà, che è quello più congeniale ed omogeneo a tutta la teoria morale di Kant, si pone come una necessità, nel senso che se noi ci sentiamo soggetti morali,  cioè soggetti capaci di scelte, significa che ammettiamo, sia pure solo in sede etica, la libertà; infatti là dove una libertà di scelta non esistesse affatto, noi non potremmo certo parlare del problema morale. Si tratta quindi di una certezza morale che in sede conoscitiva vera e propria non possiamo raggiungere, perché non ne abbiamo nemmeno l'intuizione, ma che tuttavia dobbiamo postulare come fondamento della nostra certezza etica. Anche il postulato dell' immortalità dell'anima sgorga dalla stessa legge morale; il singolo, moralmente impegnato, nell' ambito della vita sensibile non potrà mai realizzare la perfezione, cioè quella santità che compete soltanto a Dio; questa perfezione potrà essere solo l' ideale che guida un progresso all' infinito, che va ben oltre la vita sensibile, dove bisogna pensare che il singolo, come personalità, possa permanere oltre la morte del corpo. Il terzo postulato, riguardante l'esistenza di Dio, sorge dalla necessità di pensare alla possibile unione tra virtù e felicità, unione che non sembra potersi realizzare nella vita sensibile, dove l' individuo virtuoso deve lottare e soffrire; questa unione, che Kant definisce anche sommo bene, in quanto bene più completo, si deve idealmente realizzare nella perfezione di Dio, suprema garanzia che il mondo brutalmente deterministico della natura e il libero mondo morale non sono in contrasto radicale e assoluto, ma possono confluire in una realtà e felicità superiori. La dimensione metafisico-religiosa trova quindi in Kant il suo fondamento non nella teologia tradizionale, ma piuttosto nella volontà morale che in definitiva induce l'uomo ad operare come se l'immortalità dell'anima e l'esistenza di Dio fossero reali. Come meglio chiarirà Kant stesso in uno scritto del 1793, La religione entro i limiti della semplice ragione, le dispute della teologia non hanno senso alcuno. L'unica vera religione, per Kant, è solo quella che trova alimento e sostanza nella volontà buona, nella condotta morale, mentre la fuga nel rituale e nella norma estrinseca ingenera solo superstizione e passività morale: le norme morali non sono doverose perché precetti divini, ma sono precetti di Dio solo nella misura in cui nascono entro di noi come imperativi morali.  

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8. Bellezza e finalità nella «Critica del giudizio»

 

Nel 1790 Kant pubblica la terza delle sue grandi opere, la Critica del giudizio, con cui tenta di ricomporre e di risolvere contraddizioni e problemi posti dalle due prime Critiche, e rimasti insoluti nella misura in cui il mondo deterministico dei fenomeni e il mondo interiore della moralità apparivano come del tutto estranei l' uno all' altro e del tutto eterogenei. Nello sviluppare la problematica di questa terza Critica, Kant utilizza coerentemente il metodo già adottato, e l' originalità del nuovo scritto sta semmai nella tematica, difficilmente riducibile a dimensioni teoretiche, riguardante l' estetica e la finalità che sono tipiche del sentimento umano, cioè di un tipo di esperienza intermedia tra quella conoscitiva e quella morale. Le due Critiche erano approdate, come si è accennato, a conclusioni contrastanti; la prima aveva finito con l' attribuire al mondo naturale una realtà puramente fenomenica e deterministica, e aveva concluso con affermazioni dichiaratamente scettiche nei confronti della possibilità di una metafisica, rimanendo fedele ai presupposti illuministici fondati esclusivamente sull' esperienza scientifica. La Critica della ragion pratica, invece, concludeva con l'affermazione della necessità della libertà interiore del soggetto morale. I due aspetti così divergenti, determinismo del mondo sensibile e libertà del mondo morale, convivono, per così dire, nell'uomo, che come corporeità sensibile è inserito nel mondo fenomenico governato dal rigido determinismo causale, e come soggetto morale si afferma e si giustifica come libertà e come partecipe di un mondo di fini. Kant, consapevole di questa profonda frattura che rompe l'unità della persona umana, nella Critica del giudizio, attraverso l'esame di un particolare tipo di esperienza, il sentimento della bellezza e della finalità, mira a ricostituire questa unità minacciata, unità profonda tra mondo fenomenico deterministico e libertà morale, cui il sentimento della bellezza e della finalità sembrano, a suo avviso, alludere. Anche nella Critica del giudizio Kant segue il criterio già impiegato  fruttuosamente nelle opere precedenti, e cerca di individuare la possibilità di giudizi sintetici a priori del bello e del fine. Allo scopo di meglio chiarire il nuovo problema che gli si pone, in questa terza Critica Kant definisce come determinanti i giudizi sintetici a priori della ragion pura e della ragion pratica, perché tali giudizi «determinano» e stringono in un' unità i dati molteplici che si offrono al soggetto conoscente nell' ambito delle categorie intellettuali o della legge morale. A questi giudizi determinanti, o sintetici a priori, egli contrappone nella terza Critica il cosiddetto giudizio riflettente, che per Kant è un giudizio che nasce di «riflesso» da un oggetto della natura fenomenica già determinato dalle categorie intellettuali, e che viene quindi sperimentato e vissuto dal soggetto conoscente che lo valuta in un modo nuovo, cioè nella prospettiva di un accordo che sembra delinearsi tra l'oggetto e colui che lo conosce. I giudizi riflettenti sono di due specie: quelli estetici con cui riconosciamo il bello come oggetto di un piacere necessario, senza per questo farcene un concetto, e quelli teleologici con cui riusciamo a cogliere, col sentimento, la prospettiva di una finalità immanente in tutti i possibili prodotti della natura fenomenica e deterministica. Il giudizio riflettente estetico riguardante il sentimento del bello viene esaminato da Kant con atteggiamento critico nei confronti dell' estetica inglese, fondata sul piacere della bellezza, e cioè su un fatto del tutto soggettivo; Kant, pur riconoscendo che, per sua natura, il giudizio estetico è soggettivo, afferma che esso ha una sua autonomia aprioristicamente fondata, che lo rende disinteressato e indipendente da considerazioni soggettive e contingenti. La bellezza, secondo Kant, scaturisce infatti da una sorta di armonia che si stabilisce tra l' oggetto contemplato e la nostra libera interiorità*.

 

*Se, ad esempio, io osservo un paesaggio dal punto di vista di un geologo che sta studiando strutture e disposizione di una linea collinare, allora io avrò una conoscenza scientifica basata su una serie di giudizi determinanti, o sintetici a priori, e l'oggetto della mia osservazione sarà solo un oggetto scientifico. Ma se quello stesso paesaggio suscita in me un sentimento di adesione interiore che io avverto come necessario, allora io vivo un'esperienza estetica e non concettuale, attraverso la quale avverto che la natura sembra disporsi secondo l'esigenza di una finalità soprasensibile, che pare armonizzarsi e coincidere con la mia libera interiorità morale, che è appunto aspirazione al soprasensibile, cioè tendenza al superamento della fenomenicità meccanicistica.

 

 Sempre a proposito del sentimento del bello, Kant si pone anche il problema del sublime, cioè di quel tipo di bellezza che nella sua smisurata grandiosità, anziché favorire l' armonico e sereno incontro tra il soggetto e l' oggetto contemplato, arriva a travolgere il soggetto stesso nella prospettiva di una sproporzione incolmabile, come accade di fronte a quello che Kant chiama il sublime matematico, che ci sgomenta con il senso dell'infinitudine dello spazio cosmico, o il sublime dinamico, che sorge nel nostro animo di fronte allo spettacolo delle forze scatenate della natura, quali un uragano o uno sconvolgimento tellurico. Di fronte al sublime, l'emozione estetica non nasce dalla consonanza, ma dal contrasto, che se in un primo momento può suscitare in noi sgomento ed orrore tali da opprimere la nostra sensibilità, poi si ricompone in una visione in cui il soggetto che contempla avverte in se stesso un'umana superiorità che è ragione e moralità.    Allo stesso modo, il giudizio riflettente teleologico nasce dal sentimento che noi avvertiamo di fronte a un prodotto della natura fenomenica, vegetale o animale, quando non possiamo fare a meno di avvertire l' intelligente armonia che ci sembra esistere fra le diverse parti che formano l' oggetto naturale, le quali concorrono alla funzionalità del tutto. Da un punto di vista strettamente scientifico lo studioso, poniamo il botanico, vede questo stesso organismo, così come esso si articola, nella sua maggiore o minore complessità, e da tale punto di vista strettamente scientifico che egli concreta in una serie di giudizi gnoseologici o sintetici a priori, egli nulla può dire o dimostrare che non ricada nell'ambito dell'osservazione sperimentale diretta. Lo stupore che nasce di fronte all'eventuale complessità di un organismo siffatto non è un risultato scientifico, ma un giudizio riflettente che nasce sul sentimento del fine in noi necessariamente presente, che ci fa avvertire una intelligenza organizzatrice nell' oggetto osservato, intelligenza che peraltro non è scientificamente sperimentabile e dimostrabile, ma che rimane appunto un nostro sentimento, che ha però una sua necessità aprioristica.    In questa prospettiva, quell' organismo vivente, che dal punto di vista puramente conoscitivo è un semplice fenomeno inserito nella concatenazione causale ed è quindi una realtà meccanicisticamente ordinata, è capace di suggerire, ma soltanto di suggerire, al nostro sentimento un' idea di ordine intelligente e quindi finalistico, omogenea alla libera interiorità morale del soggetto conoscente.    Con la Critica del giudizio Kant ha cercato di chiarire che anche il mondo dei fenomeni, meccanicisticamente e causalmente ordinati nel  complesso di una natura deterministica, nel caso dell'esperienza estetica e teleologica è capace di alludere ad una sottintesa libertà finalistica che sembra avvicinare la passiva meccanicità della natura alla libera interiorità dell'uomo.  Il criticismo come modello di ricerca rappresenta quindi il frutto più maturo e fecondo dell'illuminismo settecentesco, perché è ricerca che spregiudicatamente ha negato la possibilità di una metafisica come scienza, ma nello stesso tempo ha riconfermato la consistenza della tensione morale e dell'aspirazione umana alla libertà; ricerca che ha rivalutato l'uomo come singolo, forte della sua vita interiore, nello stesso tempo ha riaffermato il valore dell' umanità e dell' oggettività del sapere

 

 

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