La Germania fra rivoluzione e controrivoluzione

 

Una profonda crisi d'identità .

In Germania, come in Russia, la sconfitta militare é stata preceduta - e in parte accelerata - da una serie d'insurrezioni, ammutinamenti nell'esercito e nella marina, scioperi nelle industrie belliche. Come in Russia l'imperatore é stato costretto a rinunziare al trono. Come in Russia, soprattutto, si sono formati "consigli di operai e di soldati" - l'equivalente dei soviet -, per iniziativa dei gruppi dell'estrema sinistra filobolscevica.

Rispetto alla Russia di Lenin, l'ex Reich guglielmino può contare su un ceto medio ben più numeroso e articolato, su un esercito rimasto nella maggioranza dei casi sostanzialmente disciplinato e soprattutto su un partito socialdemocratico dalle radicate tradizioni riformiste.

La sommossa spartachista e il suo soffocamento

Si determina nel paese una serie di dimostrazioni in seguito all'agitazione dei gruppi di estrema sinistra: gli "spartachisti" della Spartakusbund ("Lega di Spartaco"), sono capeggiati da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, e dal socialista Kurt Eisner che, nel novembre 1918, proclama a Monaco una repubblica bavarese indipendente. Il leader socialdemocratico Friedrich Ebert, divenuto il nuovo cancelliere della neonata repubblica con l'appoggio della maggioranza dei consigli operai, persegue una politica pesantemente repressiva nei confronti della sinistra bolscevica. A tal fine egli non esita a servirsi dell'appoggio dell'esercito e di organizzazioni paramilitari - i cosiddetti "corpi franchi" - costituite in prevalenza da ex combattenti anticomunisti: così può domare il moto spartachista scoppiato nel gennaio del '19 a Berlino con una "settimana di sangue" in cui troveranno la morte ad opera dei "corpi franchi" sia Liebknecht che la Luxemburg.

 

La repubblica di Weimar, dalla grande inflazione a Locarno.

 

L'indirizzo riformatore dei socialdemocratici

Proprio all'indomani del soffocamento dei moti bolscevichi, si tengono le elezioni (19 gennaio 1919), per l'assemblea costituente, che vedono uno schiacciante successo del partito socialdemocratico, che riporta 14 milioni di voti su 30; buone sono pure le affermazioni del Zentrum cattolico e del partito democratico, oltre a quelle dei liberal-conservatori e della destra nazionalista. Riunitasi solennemente a Weimar (di qui "Repubblica di Weimar") la Costituente può dare alla Germania un assetto istituzionale ampiamente democratico, con un Reichstag (parlamento) e un presidente della repubblica eletti a suffragio universale; un cancelliere (capo del governo) responsabile di fronte al Reichstag e non - come in passato - di fronte al capo dello stato; un ampio decentramento federale, che riconosce larghe autonomie alle singole regioni (Lander).

Il peso economico del trattato di Versailles

Ad incrinare sin dall'inizio questo indirizzo riformatore contribuiscono però il comportamento delle potenze vincitrici e le ripercussioni economiche del trattato di Versailles, che forniscono argomenti alla destra nazionalista. Questa, pur essendo coinvolta nella disfatta, torna ad acquistare popolarità propagando l'odio nei confronti del diktat di Versailles e delle potenze che lo hanno ispirato. Il fatto che l'esercito del Reich non sia mai stato sconfitto in battaglia, ma si sia ritirato solo dopo le insurrezione scoppiate all'interno del paese, offre un ulteriore argomento alla propaganda nazionalista.

L'occupazione della Ruhr

Chi si guarda bene dall'assumere una posizione moderata é comunque la Francia, che nel 1923, di fronte alla richiesta tedesca di una dilazione nelle scadenze di pagamento, risponde occupando militarmente, insieme al Belgio, il bacino carbonifero della Ruhr. A tale operazione, condotta con goffa brutalità dagli eserciti di Parigi e di Bruxelles, il governo tedesco e la popolazione locale di tutte le tendenze rispondono con la resistenza passiva prima, poi con un sabotaggio che spinge i francesi ad introdurre nella zona un regime di pesante repressione.

Da questa congiuntura drammatica cercano di trarre partito i movimenti di estrema destra: del 1923 é un nuovo tentativo di colpo di stato, il cosiddetto putsch di Monaco, che fallisce per il mancato appoggio di alcuni alti ufficiali e conduce in galera uno dei suoi promotori: un caporale dell'esercito tedesco divenuto nel dopoguerra il leader (o meglio, in tedesco, il Fuhrer, cioé la guida) di un piccolo partito nazional-socialista. Si tratta di un personaggio destinato a ritornare pesantemente sulla scena: Adolf Hitler.

In realtà, tuttavia, quello che preoccupa di più le potenze occidentali nella situazione tedesca non é l'emergere di una minacciosa estrema destra revanscista, ma l'eventualità che la diffusa proletarizzazione del corpo sociale derivante dalla miseria e dall'inflazione ponga di nuovo le premesse per lo scoppio di una rivoluzione bolscevica. Anche a tale scopo gli Stati Uniti, su iniziativa dello statista americano Charles Dawes, presidente della commissione interalleata per le riparazioni, decidono di concedere alla Germania un massiccio prestito di ottocento milioni di marchi-oro, tali da consentirle non solo di saldare il grosso delle riparazioni, ma anche di rimettere in moto la propria macchina produttiva. Naturalmente, il "piano Dawes" - come viene presto definita l'iniziativa del prestito - non é meramente filantropico: aiutando la Germania gli Usa sono consapevoli non solo di ostacolare l'avvento del socialismo, ma anche di porre le basi per un rafforzamento della loro presenza economica sul continente europeo.

Ripresa economica e stabilizzazione politica

Il marco, cessato l'incubo della grande inflazione, finalmente si consolida; l'industria germanica torna a posizioni vicine a quelle di anteguerra, specie nel settore siderugico, metallurgico e chimico. Nel campo politico, la fragile democrazia di Weimar può finalmente tener testa ai suoi molteplici avversari dell'estrema destra e della sinistra bolscevica, inaugurando un "nuovo corso" anche nelle relazioni internazionali. Il cancelliere Gustav Stresemann stipula così con il capo del governo francese Aristide Briand il trattato di Locarno (1925), con cui vengono poste le premesse, in un clima di distensione fra i due popoli, per l'uscita delle truppe straniere dalla Germania e l'ingresso di questa nella Società delle Nazioni.

La repubblica di Weimar é condizionata dalla presenza massiccia di capitali stranieri e dalla possibilità di pagare bassi salari in una Germania che, con la sua capitale Berlino, é anche un grande fulcro delle avanguardie culturali di tutta Europa, che rappresenta un periodo di indubbia vitalità e di sia pure mal riposto ottimismo.

 

La Repubblica di Weimar sotto i colpi della crisi

Le conseguenze del '29

L'economia tedesca subisce le conseguenze della grande crisi del '29 prima e con maggior intensità rispetto a buona parte degli altri paesi europei.

Già nei primi mesi del '29, infatti, la possibilità di conseguire facili guadagni speculando sulla crescita dei valori alla borsa americana provoca una diminuzione dei capitali investiti in Germania, in larga misura provenienti d'oltre oceano. Pochi mesi dopo, il tracollo di Wall Street provoca un massicio ritiro degli investimenti statunitensi dall'economia tedesca.

Le conseguenze sono immediate: l'esodo dei capitali esteri, cui il paese deve la ripresa economica, minaccia la bilancia dei pagamenti tedesca e induce il governo, per evitare una nuova selvaggia svalutazione, ad una rigorosa e impopolare politica deflazionistica. Il ministero di Heinrich Bruning, fra il 1930 e il '32, riduce salari e stipendi, accresce le tasse, taglia i sussidi di disoccupazione proprio mentre il numero dei senza lavoro raggiunge quota sei milioni.

Il dissolvimento del centro

Il crack di Wall Street interrompe, insieme alla stabilizzazione dell'economia tedesca, anche il lento consolidamento della repubblica di Weimar.

 

Gli esordi politici di Hitler e lo sviluppo del partito nazionalsocialista

Una propaganda incisiva

L'esito sfortunato del colpo di stato (1923) non ha infatti interrotto la carriera politica del fanatico e tenace leader nazionalista. Un breve periodo di detenzione gli ha consentito di fissare i capisaldi della sua ideologia in un volume destinato a divenire vangelo del suo movimento (Mein Kampf, "La mia battaglia") e di prepararsi a riorganizzare il partito in base a poche idee rozze ma efficaci. Dopo aver condotto una vita di artista bohémien fra Vienna e Monaco di Baviera, conosce come pochi altri le tecniche della propaganda politica e, dotato di una personalità magnetica e di un'oratoria seducente, se ne serve per tradurre in slogans orecchiabili e comprensibili dalle masse i postulati dell'ideologia nazionalista e antimarxista. Nelle fumose birrerie di Monaco dove si svolgono le prime riunioni del movimento, e nelle pubbliche sale di Berlino dove, protetti da milizie di partito, Hitler e i suoi seguaci organizzano conferenze e manifestazioni, vengono diffuse con un'oratoria martellante le idee essenziali del "partito nazionalsocialista degli operai tedeschi" (questa la definizione ufficiale del movimento, comunemente abbreviata nella sigla NSDAP). Hitler rivendica il diritto del popolo tedesco a determinare il proprio destino; inveisce contro democratici e bolscevichi, pretesi responsabili della sconfitta militare e della "pugnalata alla schiena" inflitta all'"invitto esercito tedesco"; manifesta il suo disprezzo per la repubblica di Weimar e la sua classe politica, responsabile di aver accettato il trattato di Versailles; propaganda l'odio contro la minoranza israelita, ritenendo gli ebrei da una lato colpevoli di aver propagandato in Russia e in Europa la rivoluzione marxista, dall'altro depositari di un minaccioso "potere occulto" per le posizioni chiave detenute nell'alta finanza, nel mondo della cultura e del giornalismo, nelle professioni liberali.

Un movimento di massa

Hitler inoltre abbina a questi temi nazionalistici rivendicazioni di tipo "sociale" volte ad ottenere il consenso delle masse operaie e contadine. Il programma del partito nel 1920 prevede nei suoi venticinque punti la municipalizzazione dei grandi magazzini, la riforma agraria, la confisca dei profitti di guerra, il rifiuto del diritto romano, accusato di essere "servo di una concezione materialistica del mondo"; all'interno del movimento, è presente un'ala di estrema sinistra, che fa capo ai fratelli Otto e Gregor Strasser e non nasconde le proprie simpatie verso la Russia sovietica. Anche se molti di questi temi verranno presto ridimensionati o messi del tutto da parte, Hitler non abbandonerà mai i metodi delle grandi organizzazioni di massa, da lui utilizzati come strumento di lotta politica. Il piccolo partito nazionalsocialista si impone ben presto all'opinione pubblica per le grandi sfilate che assumono spesso l'aspetto di parate militari e utilizzano gli strumenti di mobilitazione delle masse, sino ad ora monopolio dell'estrema sinistra, con sventolio di bandiere dai colori violenti su cui campeggia la cosiddetta svastica: un simbolo solare, diffuso presso gli antichi popoli indoeuropei, assunto come proprio stemma del movimento.

 

 

 

Il mito del sangue. Dalla lotta di casse alla lotta di razza

Il mito della superiorità ariana

Alla base dell'ideologia nazionalista sta infatti il mito del sangue, la convinzione che solo la razza indoeuropea, o ariana, di cui il popolo tedesco sarebbe il più puro depositario, sia in grado di perpetuare la civiltà e di conseguenza abbia il diritto di guidare le sorti del globo. La razza ariana, il Volk, mostra che tutte le principali lingue dei popoli indiani e europei derivano da un antichissimo idioma comune - l'indoeuropeo, appunto - e la scienza filologica era parsa dare conferma a questi orientamenti, accreditando il mito di una stirpe primordiale da cui sarebbero derivate le grandi civiltà "ariane" della storia, dai persiani ai greci, ai latini, al medioevo germanico. In seguito le dottrine dell'aristocratico francese Arthur de Gobineau, che nel suo Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane aveva teorizzato la superiorità dei bianchi, erano sembrate trovare un avallo nella scienza positivista.

Un nuovo antisemitismo

Si afferma rapidamente una spregiudicata utilizzazione della polemica antisemita. La storia della cultura registra diverse forme di antisemitismo. Gli ebrei, identificati con una élite privilegiata di commercianti e di usurai, è diffusa sin dal medioevo presso larghi strati popolari, soprattutto nell'Europa centro orientale. Vi è stato un antisemitismo cattolico, fondato sull'accusa di deicidio, e un antisemitismo protestante, largamente attestato dagli scritti di Lutero; un antisemitismo illuminista, testimoniato dall'insofferenza di Voltaire verso il tenace tradizionalismo del popolo ebraico, e un antisemitismo socialista, vivace soprattutto negli scritti di Fourier e di Proudhon, in cui l'ebreo viene identificato come il capitalista parassita e sfruttatore.

Nell'ideologia hitleriana, però, queste diverse componenti vengono unite in un miscuglio esplosivo.

 

Le basi sociali del nazismo

Il consenso più immediato: la piccola borghesia

Per il movimento "crociuncinato", buona parte degli aderenti proviene da una piccola borghesia che la depressione rischia di ricacciare nel proletariato e che guarda con uguale ostilità sia al grande capitalismo che al movimento socialista. Particolarmente incisiva è la penetrazione del movimento nelle campagne, presso un ceto di piccoli proprietari che il crollo dei prezzi agricoli e i gravami fiscali costringono a svendere la terra e il bestiame per pagare i debiti.

La propaganda presso i colpiti dalla grande crisi

E' tuttavia nelle aree urbane e industriali che la grande crisi consente al partito di Hitler di moltiplicare i consensi. Presso questo ambiente il nazionalsocialismo opera una duplice penetrazione: dall'alto e dal basso. Da un lato esso moltiplica i suoi consensi presso i quadri tecnici e amministrativi e le aristocrazie operaie, un tempo monopolizzate dai socialdemocratici; dall'altro, con la promessa di assicurare a tutti "pane e lavoro", rifiutandosi di pagare le riparazioni di guerra una volta giunto al potere, Hitler ottiene al suo movimento il sostegno di molti di quei sei milioni di disoccupati che la depressione ha lasciato in eredità alla Germania. Molti di questi, che si sentono del tutto abbandonati dalla repubblica di Weimar, trovano nel movimento di Hitler, con la sua esaltazione dei valori della solidarietà e del cameratismo, una soluzione ai più immediati problemi personali. Assistiti e mantenuti nei campi di lavoro, inquadrati nelle "squadre d'assalto" nazionalsocialiste - più comunemente note come S.A. - essi forniscono i quadri militanti del movimento.

 

La Germania alla conquista di uno Spazio vitale : l'ascesa di Hitler e l'avvento del Terzo Reich

Le elezioni del 1930: i successi delle estreme

Se la crisi favorisce il nazionalsocialismo, la divisione delle sinistre gli spiana la strada. Le ostilità fra i comunisti e i socialdemocratici impediscono la formazione di un fronte comune delle sinistre proprio mentre il movimento hitleriano realizza una massiccia avanzata. Alle elezioni del 1930, indette dal ministero del cattolico Bruning, i nazionalsocialisti passano da meno di un milione ad oltre sei milioni di suffragi. Aumentano anche i comunisti, mentre i partiti moderati registrano una brusca contrazione per scontri sempre più violenti fra le formazioni paramilitari della sinistra e le squadre nazionalsocialiste: le già ricordate SA e le SS (Schutzstaffeln, "squadre di difesa"). Mentre il movimento hitleriano rafforza le sue posizioni nelle successive elezioni regionali, la classe politica spera di normalizzare la situazione affidando ad uomini della destra tradizionale il compito di salvare la repubblica. Socialdemocratici e cattolici fanno confluire i voti sul maresciallo von Hindenburg in contrapposizione alla candidatura di Hitler nelle elezioni presidenziali del 1932; appena eletto, il prestigioso militare chiama al governo l'esponente della destra cattolica Franz von Papen, che costituisce un ministero conservatore con cui tenta di riportare il movimento nazionalsocialista nell'alveo della normalità. Ma i suo governo è di breve durata: dopo la caduta del ministero von Papen, Hindenburg nomina cancelliere lo stesso Hitler, il 30 gennaio 1933.

Dall'inizio della dittatura alla notte dei lunghi coltelli

Con l'aiuto delle sue indubbie capacità di politico, Hitler riesce a conquistare nel giro di pochi mesi i pieni poteri, anche a spese degli ambienti conservatori che ne hanno tollerato o favorito l'ascesa. Il leader nazionalsocialista attribuisce all'opposizione comunista l'incendio appiccato al palazzo del parlamento - il Reichstag - e ne approfitta per ottenere i pieni poteri abolendo le garanzie della costituzione di Weimar. Conseguita la maggioranza assoluta, Hitler scioglie tutti i partiti ad eccezione di quello nazionalsocialista; instaurando una dittatura personale che la morte del presidente Hindenburg renderà completa. Con la notte dei lunghi coltelli fa eliminare i leaders dissidenti ed in particolare i capi delle SA, favorevoli ad una evoluzione del regime su posizioni rivoluzionarie. La repubblica di Weimar è ormai liquidata; al suo posto Hitler, proclamatosi Fuhrer (guida) del popolo tedesco, annuncia la nascita di un impero millenario: il terzo Reich, dopo il sacro romano impero ed il Reich guglielmino.

 

La politica estera del nazismo: spazio vitale e pangermanesimo

Tra repressioni degli oppositori e mobilitazione delle masse

Hitler si trova di fronte al problema di trasformare la sua dittatura in un duraturo regime, assicurandole un consenso stabile. Questo obiettivo viene raggiunto in buona parte attraverso provvedimenti repressivi: gli aderenti ai partiti di opposizione che non sono riparati all'estero o non hanno nel frattempo aderito all'hitlerismo, come molti dei dirigenti dei sindacati e del partito socialdemocratico, sono arrestati e rinchiusi nei campi di concentramento. Con Joseph Goebbels si allestisce una formazione del consenso assai più capillare ed efficace di quello fascista. Un apposito ministero della propaganda si occupa di utilizzare i mezzi di comunicazione sociale - dalla radio, al cinema, alla stampa - e la scuola si trasforma in strumento di propaganda nazionalista e razzista che completa quel processo di "nazionalizzazione delle masse", il Volk. Anche nel mondo dell'alta cultura, i nazionalsocialisti esigono una rigorosa conformità della creazione artistica e della produzione scientifica all'ideologia del partito. L'arte astratta, l'architettura razionale, la letteratura espressionista maturata a Berlino negli anni del dopoguerra vengono rifiutate come "arte degenerata", mentre le teorie rivoluzionarie del fisico israelita Einstein sono condannate in quanto "espressione di una concezione ebraica del mondo".

 

 

L'opposizione degli intellettuali

Un atteggiamento di questo genere induce molti intellettuali tedeschi all'esilio. Il romanziere Thomas Mann e suo fratello Heinrich, il drammaturgo Bertold Brecht, il filosofo Karl Jaspers abbandonano dopa l'ascesa al potere di Hitler la Germania. Al consolidamento del consenso contribuisce anche l'atteggiamento delle principali chiese, ed in particolare delle sette riformate, tradizionalmente legate al principio luterano dell'obbedienza al potere politico. Alla base dell'ideologia nazionalsocialista, con la sua esaltazione dei miti dell'antica preistoria indoeuropea di cui la svastica è uno dei simboli, sussiste un fondamentale paganesimo, cui si accompagnano, in Hitler e in altri esponenti del partito, confuse credenze magiche. Nel 1933 la chiesa cattolica stipula con il governo nazionalsocialista un concordato e i protestanti nel complesso aderiscono senza problemi di coscienza al regime e, molti di essi, danno vita a un movimento cristiano-tedesco favorevole al nazionalsocialismo.

 

I costi del consenso. Successi economici e totalitarismo politico

La programmazione economica

Il consenso può essere consolidato solo attraverso un effettivo miglioramento delle condizioni dell'economia e il riassorbire della disoccupazione. A tale scopo vengono varati due piani quadriennali per la programmazione economica e viene impostato un programma di riarmo militare e di grandi opere pubbliche fondato sull'autarchia. A questo fine i dipendenti, organizzati in un Fronte del lavoro che sostituisce i sindacati, sono subordinati rigidamente all'imprenditore, il quale a sua volta viene vincolato da un rapporto di dipendenza quasi feudale all'autorità statale, cui spetta l'ultima voce in capitolo nella programmazione produttiva. I giovani di ambo i sessi sono mobilitati in un Servizio del lavoro che fornisce manodopera a basso costo per le grandi opere pubbliche e per i servizi assistenziali. L'industria chimica tedesca realizza artificialmente molte delle materie prime di cui il paese è carente, mentre un abile politica di scambi compensati apre alla Germania i mercati del Sud America e dei Balcani. Acquistando prodotti agricoli a prezzi più elevati rispetto a quelli praticati sui mercati internazionali, ma esigendo in cambio che i venditori comprino manufatti industriali tedeschi, la Germania moltiplica le proprie esportazioni, soprattutto nell'area mitteleuropea. Sgravi fiscali e crediti agevolati vengono inoltre concessi a quegli imprenditori che si dimostrino disposti ad assumere nuova manodopera.

La distruzione delle autonomie locali

Nel giro di pochi anni, grazie anche a questa politica, la situazione tedesca è decisamente migliorata. La disoccupazione è quasi integralmente riassorbita, il tenore di vita è tornato quello del prospero 1928, il paese è lastricato da un imponente rete di autostrade su cui circolano le prime utilitarie, fra cui la famosa Volkswagen (vettura del popolo). In questa congiuntura, il nazionalsocialismo completa la sua rivoluzione forte di un solido consenso di massa. La Germania si trasforma in uno stato assolutamente centralizzato, in cui il partito nazionalsocialista controlla rigidamente l'amministrazione, la giustizia, la scuola, limita o annulla i diritti della minoranza ebraica, alla quale dal 1935 viene imposta una rigorosa separazione dal resto della collettività, mentre competenze speciali vengono attribuite alle SS divenute, da milizia di partito, un corpo paramilitare privilegiato ed alla polizia politica, la famigerata Gestapo.

Un programma aggressivo verso l'esterno

Gradualmente prende forma l'idea di un impero non più limitato al ristretto ambito tedesco, ma esteso a larga parte dell'Europa centro orientale, fino alle grandi pianure asiatiche. Hitler e i suoi seguaci non si limitano a portare alle estreme conseguenze le dottrine pangermanistiche. Radicalizzando concezioni già formulate prima della grande guerra, i teorici nazionalsocialisti rivendicano per il loro paese il diritto a uno "spazio vitale" che consenta alla sua popolazione, molto numerosa rispetto alle risorse del territorio nazionale, di soddisfare le proprie esigenze riprendendo quell'antico processo di espansione verso l'Europa orientale che aveva caratterizzato, sin dall'età medievale, la nazione tedesca. Ne derivano non solo una serie di rivendicazioni territoriali nei confronti degli stati vicini, e la richiesta dell'annessione (Anschluss) dell'Austria, ritenuta parte integrante del Reich, ma un aggressivo imperialismo in direzione della Polonia, del Baltico, della Cecoslovacchia, del mondo slavo e balcanico, ritenuti i naturali sbocchi delle potenzialità demografiche e produttive della nazione germanica.

La sfida a Versailles

Il dittatore tedesco ha cura di stipulare nel 1933 un " patto a quattro" con Italia, Francia e Gran Bretagna, che impegna i contraenti al mantenimento della pace. Quando questo accordo naufraga per il rifiuto di convalidarlo da parte dei parlamentari di Parigi e di Londra, Hitler si affretta a stipulare un patto di non aggressione con la Polonia. Nel frattempo, sin dall'agosto 1933, è divenuto operante un trattato di collaborazione militare con l'armata sovietica, che, se da un lato consente all'esercito germanico di intensificare il riarmo nonostante le limitazioni del trattato di Versailles, dall'altro apre la strada ad un periodo di buone relazioni diplomatiche con l'Urss. Solo più tardi, venuto meno un tentativo di annessione dell'Austria per l'opposizione italiana, la Germania nazionalsocialista imbocca la strada di una aperta sfida all'assetto internazionale uscito da Versailles. Nel 1935 Hitler proclama la coscrizione obbligatoria, mentre un plebiscito condotto con gli auspici della Società delle Nazioni e sotto il controllo della Francia, potenza occupante, segna con il novanta per cento dei suffragi favorevoli il ritorno al Reich del bacino della Saar. Un anno più tardi la Germania denunzia il patto di Locarno e, in deroga agli accordi di Versailles, rimilitarizza la Renania, che secondo il trattato di pace dovrebbe rimanere sgombra, per motivi di sicurezza internazionale, da truppe tedesche. La condanna della Società delle Nazioni e le proteste in Francia, Italia e Belgio rimangono senza seguito per l'ostilità della Gran Bretagna a sanzioni economiche o interventi militari con cui imporre il rispetto dei trattati. Fra le debolezze e le divisioni delle altre potenze, la corsa della Germania nazionalsocialista verso l'egemonia in Europa è già cominciata, proprio mentre in diverse nazioni d'Europa sono in molti a guardare con interesse o con simpatia al regime hitleriano.

 

Fascismo e fascismi in Europa: il Male del Secolo

Differenze e analogie tra fascismo e nazismo

Per la verità, parlare di "fascismo" indifferentemente riguardo quello instaurato in Italia da Mussolini e il nazionalsocialismo, non è corretto. Se il nazionalsocialismo tedesco realizza un completo totalitarismo, in cui tutti i rami dell'amministrazione pubblica e tutti gli aspetti della vita sociale sono soggetti al controllo del partito, il fascismo italiano, nonostante le sue velleità, resta un regime autoritario, in cui permangono spazi di autonomia nella vita civile e culturale e Mussolini sino all'ultimo condivide il potere con la monarchia e le forze conservatrici tradizionali. La dottrina del fascismo, che si rifà al modello latino, afferma il predominio dello stato sulla società, mentre l'hitlerismo, che non nasconde il suo disprezzo per il diritto romano, colloca al di sopra di tutto la mistica germanica del Volk. L'autoritarismo fascista conduce all'abuso poliziesco ed in certi casi all'omicidio politico, ma non al terrore generalizzato che contraddistingue la dittatura tedesca. Lo stesso antisemitismo, che nel fascismo è un fenomeno marginale e derivato, costituisce invece una caratteristica saliente nel nazionalsocialismo. Al di là di queste fondamentali differenze, che solo in parte possono venire attribuite alla diversa natura dei due popoli, appaiono sin troppo nette le analogie fra il movimento di Mussolini e quello di Hitler, che per altro non nasconderà mai la sua ammirazione per il suo precursore italiano. Anche nelle loro somiglianze formali, nel comune entusiasmo per le parate, le divise, i simboli e i rituali collettivi, i due regimi confermano le proprie affinità, presentandosi come diverse espressioni di un tentativo comune di fornire, divinizzando i valori della nazione, una risposta al disagio dell'uomo moderno in un mondo sempre più desacralizzato.

 

Il Portogallo di Salazar e la dittatura di De Rivera in Spagna

Tra arretratezze e tensioni

Comuni a Spagna e Portogallo sono uno sviluppo industriale limitato, la diffusione della grande proprietà fondiaria e, in vastissime aree, del latifondo, le modeste dimensioni e lo scarso peso di un ceto medio in grado di svolgere un ruolo autonomo fra le masse dei braccianti e le ristrette oligarchie di finanzieri, affaristi e terratenientes. In passato, le tensioni sociali erano state ammortizzate dal peso della chiesa cattolica, che esercitava una notevole influenza sulle masse contadine. Con il diffondersi della cultura laica, favorito anche dai governi liberali, e la formazione dei primi nuclei di proletariato urbano, il peso politico del clero tende a ridimensionarsi, mentre le ideologie socialiste e soprattutto anarchiche registrano un considerevole sviluppo fra gli operai delle città e i braccianti delle campagne. Di qui il diffondersi delle prime agitazioni sindacali, che assumono spesso caratteristiche violente, oltre che accesamente anticlericali, anche per il ruolo predominante svolto dagli anarchici all'interno del movimento operaio.

 

Il colpo di stato in Portogallo

In Portogallo, paese molto più arretrato rispetto alla Spagna, chiesa cattolica e classi dirigenti tradizionali riescono a mantenere il controllo della situazione attraverso un colpo di stato militare che nel 1926 rovescia il sistema parlamentare, col pretesto di ovviare alla grave situazione finanziaria in cui una corrotta classe dirigente ha gettato il paese. Una crescente influenza sul nuovo regime è esercitata da Antonio Salazar, un economista formatosi sull'ideologia dell'Action francaise, che instaura infine una dittatura personale ispirata ai princìpi del corporativismo cattolico.

La proclamazione della repubblica in Spagna

Anche in Spagna, in un primo tempo, il sovrano spera di risolvere la situazione affidando nel 1923 le sorti del paese alla dittatura del generale Miguel Primo de Rivera. Ma l'intervento dell'esercito, screditato anche dall'andamento poco brillante delle operazioni contro i ribelli in Marocco, non basta a tenere a freno le opposizioni e nel 1930 è lo stesso dittatore a rassegnare le dimissioni. Re Alfonso XIII - convintosi della opportunità di ripristinare un regime democratico - tenta una politica di conciliazione, abolendo la censura; ma ormai è troppo tardi. Le elezioni municipali del 1931, che assicurano ai repubblicani la maggioranza nei grandi centri urbani, vengono interpretate dalle forze progressiste come un plebiscito antimonarchico: mentre il sovrano lascia il paese, pur senza rinunziare al trono, viene proclamata la repubblica.

Il ritorno ad un regime democratico non basta però ad assicurare pace e stabilità alla Spagna. Le tensioni sociali nella penisola sono ormai troppo forti: al centro dei contrasti è soprattutto la questione agraria.

Il quadro politico spagnolo registra così, accanto ad una destra monarchica e conservatrice, espressione dei grandi proprietari terrieri, un centro radicale ed una sinistra socialista ed anarchica, incerta fra la via delle riforme e le tentazioni rivoluzionarie. In certe aree del paese sono molto diffuse le tendenze autonomistiche. Catalogna e paesi baschi sono in prima fila in questo tipo di rivendicazioni, che contribuiscono a rendere incandescente il clima politico spagnolo.

 

Dal Riflusso Conservatore al Fronte Popolare

Le tensioni si inaspriscono

Il governo radicalsocialista uscito dalle elezioni del 1931 tenta senza successo di controllare la situazione. La politica anticlericale e riformista, se da un lato preoccupa gli ambienti conservatori, non basta a convertire al rispetto della legalità le punte radicali del movimento operaio. Le elezioni del 1933 registrano così un successo del centro-destra, con l'affermazione della CEDA, un movimento di ispirazione cattolico-conservatrice che, alleato con i radicali, forma un nuovo governo, sotto il quale viene interrotta l'opera riformatrice del precedente ministero. Mentre nelle campagne i grandi proprietari approfittano ottusamente del nuovo clima politico per imporre un netto peggioramento delle condizioni di vita dei salariati, scoppiano a Madrid, a Barcellona e fra i minatori delle Asturie nuove rivolte anarchico-socialiste, che il governo reprime con l'aiuto dell'esercito.

La Falange di José Antonio

Una serie di scandali in cui sono coinvolti esponenti radicali, e il rifiuto del presidente della repubblica di chiamare al governo il leader conservatore Gil Robles, obbligano a nuove elezioni, che nel febbraio del 1936 assicurano una maggioranza, sia pure di misura, al fronte delle sinistre. Un governo di radicali progressisti appoggiato dai socialisti riprende la politica riformista e anticlericale interrotta nel 1933 e concede l'autonomia alla Catalogna; ma fra gli stessi socialisti non mancano coloro che, come il popolare leader sindacale Largo Caballero, presentano il nuovo ministero come una premessa alla dittatura del proletariato, e del resto l'intera Spagna vive dopo le elezioni del febbraio un clima preinsurrezionale, con incendi di chiese, omicidi politici, occupazioni di terre e assalti a sedi di partito e redazioni di giornali. In questo clima di estrema radicalizzazione della lotta politica una presa sempre maggiore fra la borghesia intellettuale e gli studenti è esercitata dalle formazioni di tipo parafascista, fra cui spicca la Falange, fondata da José Antonio de Rivera, figlio dell'ex dittatore. Dopo lo scioglimento della Falange, tuttavia si fa sempre più netta in de Rivera la speranza di porsi alla guida di una insurrezione contro il governo, che da tempo è nell'aria.

Il pronunciamento dei militari

Dopo la vittoria del fronte popolare, la volontà di rovesciare la repubblica è infatti divenuta un atteggiamento comune all'intera destra spagnola, e non soltanto alla destra. Se l'estrema sinistra punta su una sollevazione che trasformi il debole governo radicale in un regime socialista, negli ambienti cattolici e conservatori prevale la speranza di un colpo di stato dell'esercito in cui sono ben pochi gli ufficiali di sentimenti democratici. Nel luglio del '36 l'assassinio del leader dell'opposizione parlamentare, il deputato Calvo Sotelo, ad opera di un ufficiale della polizia repubblicana, fornisce un pretesto alla reazione. Le guarnigioni dell'esercito stanziate in Marocco si ribellano al governo e il loro esempio è seguito da numerosi reparti stanziati nella madre patria. Ben presto la Spagna è divisa in due: da una parte le regioni dove il colpo di stato è riuscito, dall'altro quelle, come la zona di Madrid e Barcellona, dove i militari hanno preferito rimanere fedeli alla repubblica, per convinzioni personali o per timore di un insuccesso. Ma anche in queste zone le autorità governative non si fidano e sciolgono l'esercito, distribuendo le armi alle milizie popolari, cui è delegato il compito di difendere la repubblica dalle forze ribelli, desiderose di assicurarsi il controllo dell'intero territorio nazionale.

 

 

La Guerra Civile e la vittoria di Franco

Lo schieramento anticomunista e lo scoppio della guerra civile

Fra i militari che guidano il pronunciamento si distingue un generale già segnalatosi, sotto la repubblica, nella repressione della rivolta dei minatori in Asturia: Francisco Franco. Franco non è certo un leader fascista o monarchico; è un tipico militare spagnolo di carriera, ligio alle gerarchie cattoliche e ostile al comunismo e alla stessa democrazia. Ma è anche un politico abile e pragmatico, che diviene un capo anche per la mancanza di personalità in grado di fargli concorrenza: i principali leaders monarchici o falangisti - compreso José Antonio - vengono infatti fucilati dai repubblicani subito dopo il colpo di stato; i vari gruppi della destra sono divisi, per cui egli, dopo essere stato posto al vertice della giunta dei militari ribelli, non deve fare i conti con molti rivali e può autoproclamarsi capo dello stato. Pur cercando, per motivi tattici, l'alleanza di Roma e di Berlino, Franco mette sotto controllo la Falange, costringendola a fondersi con i carlisti e a dar vita ad un partito unico, effettua alcune modeste concessioni alle dottrine sindacaliste di José Antonio promulgando una "carta del lavoro"; ma soprattutto punta sull'alleanza di tutte le forze anticomuniste e conservatrici all'insegna della crociata contro i "rossi", cioè contro il regime di Madrid. "Rosso", il governo contro cui i generali ribelli hanno effettuato il pronunciamento a rigore non lo era, visto che a guidarlo era un radicale moderatamente progressista. Il colpo di stato militare lo spinge a diventarlo. Privato dell'appoggio della polizia e di buona parte dell'esercito, il governo regolare si trova nell'impossibilità di fronteggiare un'insurrezione popolare a sfondo anarchico e socialista. La decisione di sciogliere l'esercito e distribuire le armi alle milizie dei vari partiti apre così la via a una rivoluzione dal basso sanguigna e sanguinosa. 4850 chiese vengono incendiate o danneggiate, tredici vescovi e 6845 fra seminaristi, religiosi e religiose sono assassinati, i militari falangisti o monarchici sorpresi dal pronunciamento in zona repubblicana sono spesso uccisi dopo processi sommari. Sul fronte opposto; le truppe franchiste - e in particolare i terribili reparti marocchini - conducono una lotta senza pietà, abbandonandosi a repressioni che inducono larga parte della popolazione civile a cercare scampo oltre la frontiera con la Francia dopo la vittoria dei nazionalisti.

L'egemonia comunista sul fronte repubblicano

Nel settembre del 1936, quando il leader socialista Largo Caballero diviene primo ministro di un governo del quale entrano a far parte, passando sopra alle loro dottrine, persino alcuni anarchici un peso determinante nella Spagna repubblicana viene assunto dal partito comunista. Questo esercita uno stretto controllo sull'operato del governo, di cui si sforza di consolidare l'autorità e l'apparato burocratico, e attraverso una propria milizia compie massicce rappresaglie contro le formazioni rivali dell'estrema sinistra.

L'internazionalizzarsi del conflitto

Sin dal suo scoppio, infatti, il conflitto in Spagna tende a "internazionalizzarsi", assumendo i connotati di uno scontro ideologico tra il fascismo, i regimi autoritari e le democrazie liberali o socialiste.

Un massiccio aiuto a Franco è fornito dalla Germania - che invia personale specializzato e un contingente aereonautico, dal quale verranno effettuati i primi bombardamenti a tappeto su centri urbani - e soprattutto dall'Italia. Mussolini vede infatti nell'intervento in Spagna non solo un contributo alla lotta contro la democrazia e il comunismo, ma anche un'occasione per estendere l'influenza dell'Italia nell'area mediterranea, realizzando una sorta di "accerchiamento" della Francia del fronte popolare. In Spagna il governo di Roma invia a combattere circa cinquantamila uomini. Sul fronte opposto, i governi dei vari paesi democratici non osano intervenire direttamente, per timore di complicazioni internazionali; ma l'Unione Sovietica, da tempo passata alla strategia dei fronti popolari in chiave antifascista, fornisce numerosi aiuti tecnici, mentre l'internazionale comunista svolge un ruolo determinante nella organizzazione di "Brigate internazionali" per la lotta contro gli insorti. A queste formazioni militari aderiscono antifascisti di tutte le nazioni e di tutte le tendenze, fra cui non mancano celebri uomini di cultura come il romanziere statunitense Ernest Hemingway. Numerosi sono gli esuli politici italiani che si battono contro Franco in nome dell'antifascismo, secondo lo slogan "oggi in Spagna, domani in Italia". Uno di essi è Carlo Rosselli, fondatore del movimento "Giustizia e libertà", che sarà assassinato nel 1937 in Francia, insieme al fratello Nello, da terroristi di estrema destra.

L'imposizione di un regime autoritario

Il rapporto delle forze gioca tuttavia a favore di Franco che riesce a controllare l'intero territorio spagnolo e, assunto il titolo di caudillo ("guida"), instaura un regime autoritario con l'appoggio delle gerarchie cattoliche. Nonostante le pressioni franco-britanniche, istituisce subito tribunali speciali che processano a migliaia i dirigenti e i militanti repubblicani.

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