Le Stanze di Paolo III

   
   

25 settembre 1547. Questa data  sancisce in grosso modo l’ultimazione degli affreschi della cappella Paolina in Castel Sant’Angelo. Piena età della controriforma, la Chiesa è pronta ad intraprendere la sua nuova lotta contro l’eresia e soprattutto una lotta dedita alla sua riforma interna. Esplicazione di questo nuovo ruolo è la politica papale atta al proseguimento del fine ultimo: ripristinare quel ruolo egemone e raggruppare quel gregge che si era allontanato alla buona guida del pastore cattolico. Tale concezione si riflette anche nel programma iconografico della stessa cappella, che investe direttamente la figura di Paolo III come committente e stabilisce precise omologie tra i fatti della vita del pontefice Farnese, il cui nome di battesimo era Alessandro, e le storie di Alessandro Magno e di San Paolo.

La decorazione della sala è tutta impregnata dell’ideologia del pontefice, della sua idea del potere universale connaturato al papato, ma si svolge in una dimensione immemorialmente remota, dove passato e presente si fondono in modo indissolubile.

Le storie di Alessandro non seguono in modo esclusivo una sola fonte, ma tracciano racconti di molti storici latini e greci alla luce di un polo ideologico dominante ed assumono perciò un duplice significato, quello ”storico” attinente alla figura di Alessandro Magno e quello ”sacrale” allegoricamente riferito alle ideologie di Paolo III.

La prima storia di Alessandro sul lato nord della volta rappresenta l’incontro del re macedone con il sommo sacerdote Iaddo alle porte di Gerusalemme. Il significato simbolico dell’episodio, immediatamente trasferibile su Paolo III, consiste nella pretesa più volte ribadita del potere universale del papa quale mediatore ed arbitro tra i potenti della terra “Omnes reges servient ei”.Lo stesso concetto viene ripreso nella seconda scena del ciclo sul lato est con la preghiera di Alessandro nel Tempio Di Gerusalemme. Il terzo episodio con Alessandro che dà fuoco per primo al proprio bottino per alleggerire i carriaggi allude alle riforme che pontefice aveva tentato già prima del concilio trentino e allo spirito di riforma che aleggiava nella curia papale.

L’episodio di Poro assalito dai soldati macedoni, dipinto sul lato sud, viene interpretato come una rappresentazione metaforica del conflitto di Paolo III con la riforma protestante e alluderebbe specificatamente alla scomunica lanciata contro Enrico VIII (1535-38).

La costruzione delle navi per l’attraversamento dell’Idaspe, dipinta sul lato ovest; allude alle iniziative prese dal Papa contro i Turchi, l’ultima scena della volta rappresenta l’ingresso trionfale di Alessandro in Babilonia e non è una generica apoteosi di Paolo III, ma una concreta allusione del trionfale ritorno a Roma del pontefice datato 24 luglio 1538, dopo la sua mediazione nei negoziati per la pace di Nizza.

Passando dalle storie della volta ai grandi monocromi delle pareti, il ciclo di Alessandro prosegue nella parete est con la scena che vede il re macedone nell’atto di far riporre in uno scrigno prezioso le opere di Omero, concreta allusione all’educazione umanistica e alla predilezione letteraria del Papa. La scena dello scioglimento del nodo di Gordio si riferisce alla predestinata supremazia di Alessandro sull’Asia, ma in chiave “sacrale” si riferisce alla rivendicazione del primato pontificio nel campo politico e religioso.

L’episodio che tratta la famiglia di Dario ai piedi del Magno è un’allusione generica alla virtù e alla clemenza quale necessario strumento di potere, è riferito alla “grazia” del pontefice concessa a Perugina, che si era ribellata alla luce di un’imposizione fiscale sul sale nel 1540 (Paolo III fece domare duramente la rivolta, distruggendo le case dei Baglioni).

Il primo monocromo sulla parete ovest rappresenta Alessandro che mette pace tra due commilitoni, l’episodio si riferisce alla riconciliazione tra Carlo V e Francesco I, della quale il Papa stesso ne fu mediatore con la Pace di Nizza del 1538. L’ultimo monocromo della parete ovest e solitamente citato come”Alessandro che s’impadronisce del tesoro di Dario” e viene allegoricamente riferito a Paolo III riferendosi all’impulso decisivo dato da lui alla costruzione del nuovo San Pietro.

Anche il ciclo delle sei storie da San Paolo ha un significato allegorico, alludendo al nome”sacrale” del capo della Chiesa. Così la conversione del Santo, le due prediche ai giudei e ai pagani, l’accecamento da Elima, il sacrificio di Listra e la decollazione dello stesso Santo si riferirebbero di volta in volta alla rinuncia del pontefice alla vita mondana precedente al suo pontificato, ai tentativi di riforma della Curia e di conciliazione con i protestanti, all’esaltazione della fede, allo spirito di sacrificio del Papa per la causa della Chiesa.Anche le quattro virtù cardinali nelle nicchie e le dodici figure allegoriche hanno un loro significato, ribadito inoltre dal giglio di giustizia sotto l’arcobaleno, simbolo di pace di riconciliazione, e dal camaleonte e dal delfino: la massima “festina lente” ossia “affrettarsi lentamente”, ossimoro che evoca nelle sue tante sfumature interpretative l’agire equilibrato dell’uomo maturo. Aristotele scriveva”si dice che bisogna mettere in pratica rapidamente ciò che si è deliberato, ma che bisogna deliberare lentamente”. Da queste riflessioni Augusto aveva tratto il suo motto greco”speude bradeos”, egli intendeva esortare ad usare contemporaneamente nell’agire sia la rapidità dello zelo sia la lentezza della diligente precisione; da questi due elementi è costituita la maturità e la tempestività nell’azione. A Roma nacque il motto, destinato ad ispirare monete, emblemi e imprese fino nell’età barocca. Fra tutte le raffigurazioni che fiorirono nel corso del tempo, ebbe fortuna nella Roma del 1500 il delfino col camaleonte ad interpretazione dell’indole del nostro pontefice, alquanto criticata. Annibale Caro scriveva a Vittoria Farnese”la seconda (impresa) di papa Paolo è questa, d’un delfino congiunto con un camaleonte”volendo infierire sulla lentezza del deliberare.

Al centro delle pareti brevi le figure dell’arcangelo Michele e di Adriano sono di raccordo e continuità nella complessa macchina allegorica, infatti, tutta la sala Paolina e permeata di valenze allegoriche da ricercarsi nella volontà del Papa, committente di squisita cultura e raffinata educazione umanistica. Il paradosso di un Papa rinascimentale, che si batte nel concilio di Trento, è solo apparente, poiché il solo modo di preservare il retaggio del passato in un’epoca di trapasso e di lacerazioni era quello di comprometterlo con le nuove istanze del presente, accordare la cultura classica con la spiritualità cristiana, di concepire l’arte come strumento di edificazione morale, di esaltazione del potere.

Adriano cede il passo all’Arcangelo Michele, sancisce l’integrazione di valori, che sta alla base dell’intero tema iconografico della sala. Queste nel loro insieme tessono un difficile momento di mediazione tra Riforma, Riforma cattolica e Controriforma tridentina e il profondo di ansia e instabilità, che pure affiora dall’apparente equilibri delle decorazioni, è la spia non tanto segreta di questa specifica collocazione storica. Questi stucchi, profondamente imbevuti di classicismo, un classicismo più apparente cha reale, poiché la citazione dell’antico è svolta secondo un’astratta idea ritmica, al di là del recupero archeologico della forma, si pensa siano stati eseguiti da più mani, anche se le progettazione è di Perino del Vaga, che partecipò solo alle rifiniture, come era metodo di lavoro delle scuole su modello di Raffaello.
   
         
         
   

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