Caravaggio e Bruno

   
   

All'Ombra di Narciso

   
   
 

“Vidi, Michel, la nobil tela, in cui

Dala tua man veracemente espresso

Vidi un altro me stesso, anzi me stesso,

Quasi Giano novel, diviso in dui.”

 

Marino

 

 

Sembra quasi impossibile accostare la filosofia alla pittura, ma ciò non si può affermare per il Caravaggio e Giordano Bruno i quali sono rispettivamente ritrovabili l’uno nell’arte dell’altro.

Prendendo in esame il Narciso dipinto dal Caravaggio (probabilmente intorno al 1600), l’incursione nelle materie trova fondamento nel pensiero degli anni ’50, quando alcuni storici dell’arte hanno ipotizzato tra qualche aspetto della poetica del Caravaggio e il pensiero bruniano, ma i riferimenti al Nolano si muovevano su un piano molto generico fondandosi, probabilmente, su una conoscenza indiretta dell’opera di Bruno tenendo presente che  bisogna sempre tenere una certa distanza da tali accostamenti.

Ma tuttavia è interessante notare che la presenza del Nolano viene evocata, per temi talvolta analoghi, anche in interpretazioni opposte del Caravaggio ad esempio la lettura in chiave controriformistica di Calvesi e alla lettura in chiave scientifica di Bologna.

Comunque in ogni testimonianza mancano riferimenti diretti di un possibile contatto tra il pittore ed il filosofo. Dal 1594 al 1600, proprio in quel lasso di tempo tra la detenzione del filosofo nel carcere romano dell’Inquisizione e il rogo di Campo de’ Fiori, Caravaggio frequenta a Roma il circolo del Cardinale Francesco Maria Del Monte. Quanto egli potesse effettivamente conoscere del pensiero bruniano non è dato al momento sapere. Le opere del Nolano non avevano grande diffusione in Italia e nella corte papale e, in mancanza degli atti processuali, rimane difficile stabilire con certezza quale fosse per gli stessi inquisitori romani il quadro preciso della produzione a stampa del filosofo. All’interno di questo particolare contesto, non è da escludere che il cardinale, spinto dai suoi vasti interessi interdisciplinari, abbia sollecitato i suoi dotti interlocutori a discutere della cosmologia e della filosofia di Bruno.

 

Il Narciso è un quadro poco conosciuto rispetto ai più celebri dipinti del maestro, anche per la sua paternità riconosciuta in un periodo posteriore. Nella prima stesura il Narciso-riflesso rappresenta esattamente il Narciso-modello ribaltato di 180°. In un secondo momento Caravaggio corregge il Narciso-riflesso spostando più in alto il ginocchio e il profilo del viso (si ipotizza che abbia usato un sistema di specchi, collocandosi nell’esatta posizione di Narciso per offrire una visione precisa dell’ipotetica realtà). Il pittore, insomma, vuole rappresentare non ciò che un pittore avrebbe visto all’esterno, ma esattamente ciò che il pittore vede nella posizione di Narciso.

Tutta la critica ha segnalato la figura del cerchio che viene fuori dall’incontro tra le due mezze immagini: il Narciso-modello ed il Narciso-riflesso occupano l’intero spazio, dando vita ad una figura circolare. Nella tradizione, infatti, il figlio di Lirìope viene sempre disegnato, in piedi o leggermente piegato, mentre si guarda in una fonte, dove talvolta si vede la sua ombra e talvolta solo il viso riflesso. Questo Narciso insomma diventa testimonianza della confusione che si crea tra modello e copia, creatore e creatura, vedente e veduto.

Quindi non c’è dubbio che il Narciso ponga soprattutto al centro dell’attenzione il tema della “visione”. L’identità tra vedente e veduto ci fa capire che ciò che noi cerchiamo non è extra ma intra. La divinità è nella natura proprio come il modello si riflette nella sua ombra. Narciso è attore ma anche spettatore di se stesso: vede ed è visto. Ma il nosce te ipsum di Giordano Bruno, non può essere inteso nel senso agostiniano.

Il Caravaggio dipinge lo sfondo nero in modo tale che la figura viene alla luce dall’oscurità. Un caso oppure ci fa intuire che dall’ombra si arriva alla luce e non viceversa? Se per Caravaggio l’ombra è pura negatività (male, peccato, morte, materia) e la luce è pura possibilità (redenzione, vita, forma) nessuna relazione si può ipotizzare con il pensiero bruniano. Per il Nolano la dimensione umbratile è l’unica possibile: tutta l’esperienza umana e intellettuale del filosofo si consuma nella natura infinita. Solo all’interno di questa unigenita natura è data all’uomo l’opportunità di cogliere la divinità che è in noi come in tutto ciò che esiste. Narciso lo testimonia nel suo vedere. In un “vedere” che è sapere introspettivo: volgere lo sguardo all’interno significa cogliere meglio l’identità e la differenza tra vedente e veduto.

All’interno di questo orizzonte, altre osservazioni potrebbe suscitare il cerchio disegnato nel Narciso. Non sarebbe possibile ricondurre la circolarità, nodo centrale della filosofia di Bruno, al processo naturale che determina la vita di tutto ciò che esiste? All’invito a saper “vedere” con l’occhio della mente, l’unità e la molteplicità, il particolare e l’universale?

Se è possibile stabilire un rapporto tra un filosofo attento alla pittura e un pittore attento alla filosofia – entrambi, dal loro specifico punto di vista, comunque intenti a misurarsi con le ombre – di questi temi bisognerà tener conto in futuro per approfondire al meglio tale accostamento.

   
         
         
   

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