Il 12 dicembre 1969 scoppia un ordigno nella sede della Banca dell'Agricoltura in P.zza Fontana, a Milano: 13 persone perdono la vita e molti sono i feriti. E' praticamente questo l'episodio storico che mette fine alla lunga stagione di lotte sindacali che aveva toccato il suo culmine proprio nell'autunno antecedente, l'autunno caldo appunto. Si apre nel contempo un lungo periodo (forse ancora non chiuso) di instabilità politica, fatto di governi la cui caratteristica principale è proprio quella di non riuscire a portare avanti una compiuta politica di riforme. Si alternano governi monocolore (Mariano Rumor) a governi di centro-sinistra (Emilio Colombo). Le forze politiche cercano di darsi delle strategie per assumere un ruolo nei vari schieramenti politici. Il P.S.I.di questo periodo è un partito che si autocolloca come interlocutore con la contestazione giovanile e come traino per la D.C. alle riforme. Il P.C.I. mantiene una posizione di forte dissenso con i movimenti extra-parlamentari formatisi con le lotte del 68/69 e dalle tendenze troppo eversive e filocinesi, rispetto all'ortodossia di partito (ne fa le spese il gruppo de "Il Manifesto", espulso nel 69). La D.C. è divisa in molte correnti, alcune di base ed a sfondo sociale, altre fatte di moderati, avversari della Sinistra e di tutti quelli che nel partito vorrebbero allearcisi. A destra, il M.S.I. è in forte crescita (tanto da indebolire la D.C. stessa), le parole d'ordine dell'attivismo e del volontarismo, l'anticomunismo antidoto dei "disordini del '68", tornano ad essere un richiamo per molti nostalgici; a Reggio Calabria, al grido di "boia chi molla" (Ciccio Messere), addirittura si organizza un'insurrezione popolare che paralizza per alcuni giorni il capoluogo calabrese. Si realizza inoltre la fusione coi monarchici, da ora in avanti si sentirà parlare di Destra Nazionale. La forza della Destra si farà sentire anche in occasione dell'elezione di Giovanni Leone a presidente della Repubblica: il peso politico del M.S.I. sarà motivo di ulteriore instabilità.

Lo scioglimento anticipato delle Camere porta alle elezioni politiche anticipate nel 1972: ne escono una D.C. in crescita (38,8%), un P.C.I. stazionario, un M.S.I. in crescita contenuta. Questa volta, dunque, è chiamato a formare il nuovo esecutivo, il personaggio di spicco della corrente dorotea, Giulio Andreotti.
Gli inizi degli anni settanta sono all'insegna della violenza nelle piazze. Lo scontro si amplifica e si acutizza: il pericolo di un ritorno di una Destra che, come detto, si sta facendo sempre più intraprendente, fa richiamare all'unità antifascista tutta la sinistra extra-parlamentare. Nelle università, nelle scuole, durante le manifestazioni, il clima è spesso quello di una guerra civile strisciante.
L'economia italiana ha forti difficoltà per due importanti motivi: la svalutazione del dollaro e l'introduzione dell'imposta sul valore aggiunto (I.V.A.). Il tasso di inflazione si impenna repentinamente.
Nell'estate del '73 tocca a Rumor formare un nuovo governo di centro-sinistra: si cerca di tamponare le difficoltà in economia con la svalutazione della Lira. Ma l'inflazione vola al 20%. Inoltre si profilano all'orizzonte difficoltà ancora più gravi: in autunno si assiste al forte rincaro del petrolio, l'Italia quadruplica il gettito delle importazioni di petrolio, e va incontro al periodo in cui, di domenica, viene impedita la circolazione dei mezzi a motore (austerity); ma quel che è peggio è che, in una mancanza assoluta di giacimenti e senza energia nucleare (soluzione adottata da altri partners europei), l'economia italiana ristagna, si assiste alla triste consuetudine dell'esportazione di capitali (Banche Svizzere, principalmente). L'iniziativa imprenditoriale langue e conseguentemente aumenta in maniera vertiginosa la disoccupazione.
In questa situazione si fa avanti l'iniziativa politica di Enrico Berlinguer, l'allora leader del Partito Comunista: per far fronte a tutte queste emergenze era il caso di allargare il più possibile la coalizione di governo e ripartire le principali scelte economico-politiche trai due principali partiti di massa della Nazione. E' il cosiddetto "compromesso storico", l'ipotesi, cioè, che P.C.I. e D.C., governino insieme e affrontino insieme (specialmente, poi, sul triste monito proveniente dall'episodio storico del Golpe Cileno) le emergenze di un paese seriamente in difficoltà su tutti i fronti. L'iniziativa viene osteggiata in tutti i modi dal P.S.I. e dal resto dei partitini moderati (P.R.I., P.L.I., P.S.D.I.), che si vedono scavalcati proprio nella loro capacità mediatoria, loro unica risorsa per contar qualcosa nel panorama politico dell'Italia di quel momento.
Nel 1974 c'è il Referendum (come tutti gli altri, abrogativo) sul Divorzio: vincono i "No". A prescindere dal valore della questione stessa (su cui si era spaccato l'intero paese), la sconfitta del fronte degli abrogazionisti, rimane il segno di una generale spinta a sinistra e di una marcata laicizzazione di tutta la società italiana, alimentata massicciamente da gran parte della Stampa, degli ambienti culturali (anche la Scuola), dell'Editoria.
Sono gli anni questi di una forte recrudescenza del terrorismo. Le Brigate Rosse teorizzano, estremizzando il richiamo all'antifascismo militante dei gruppi della sinistra extra-parlamentare, la lotta armata e, dall'interno di alcuni atenei italiani (ad es. Renato Curcio a Trento), lanciano l'"attacco al cuore dello Stato". E questo purtroppo corrisponde ad una lunga scia di sangue, che nemmeno ai giorni nostri si è interrotta: fa scalpore l'uccisione di un magistrato, nel 1975, il giudice Mario Sossi; ma poi, nello spazio di qualche anno, molti saranno gli avversari politici, passati per le armi dopo farseschi processi inscenati da autonominatisi Tribunali del popolo.
E, seguendo p.zza Fontana, sono ancora più terribili le stragi nere (dette anche "stragi di Stato", per la ben presto confermata compromissione dei Servizi Segreti, più o meno deviati). A Brescia, nel maggio 1974, scoppia una bomba a P.zza della Loggia, nel pieno di una manifestazione sindacale; poco tempo dopo è un treno a saltare per un ordigno, l'Italicus. In entrambi i casi sono molte le vittime.
E' lo stesso Andreotti a denunciare un forte e nefasto legame fra destra eversiva e servizi segreti: il disegno destabilizzante è in ogni caso interrompere la marcia che l'Italia, nonostante tutto ha intrapreso verso le riforme. A questa lista di avvenimenti va anche associato quello che venne scoperto a margine di queste considerazioni: nel 1970 la destra fascista e combattentista (reduci della Repubblica Sociale di Salò), sotto la guida di Junio Valerio Borghese,  aveva tentato addirittura un golpe.  
Il clima con cui si arriva alle elezioni amministrative del 1975 è di forte tensione nazionale: il terrorismo unito alla depressione economica sta per rendere il paese ingovernabile. E' forse per questo, che, proprio nelle suddette elezioni, c'è una forte avanzata del Partito Comunista, che conquista il governo di 5 regioni e di quasi tutte le grandi città. Evidentemente l'elettorato, in molte parti d'Italia, apprezzava la linea di dialogo e di impegno di governo di Berlinguer. Tale successo viene confermato anche alle politiche dell'anno dopo: la D.C. tiene proprio impostando la sua campagna elettorale all'insegna della paura del sorpasso. Il P.S.I. perde di peso politico, a fronte del suo calo di voti.
La crisi economica convince larga parte della D.C. che, per fare le riforme, bisogna coinvolgere il P.C.I. (Aldo Moro), comincia a farsi strada la formula del Governo di "solidarietà nazionale". In realtà si verifica che il P.C.I., astenendosi, permette la formazione di governi monocolore democristiani, coadiuvanti questi ultimi anche da una certa accondiscendenza del sindacato. Il periodo di austerità impone un clima di pace sociale. In cambio la Sinistra dovrebbe ottenere, ed in parte ottiene, delle riforme: il Diritto di Famiglia, il controllo da parte dei Sindacati Confederali dell'I.N.P.S., l'introduzione del punto unico della Scala Mobile ( da cui una maggiore adeguazione dei salari, fino ad allora più bassi della crescita del costo della vita), la Legge dell'Equo Canone, la legalizzazione dell'aborto (lg. 194), la Legge Basaglia (chiusura dei "manicomi"), la Riforma Sanitaria (assistenza affidata alle Regioni tramite il decentramento delle "Unità Sanitarie Locali"). I risultati di questa fase politica sono assai contraddittori: il miglioramento dell'economia effettivamente si comincia a intravvedere. Fa scalpore l'inserimento fra gli azionisti di minoranza della FIAT, della Libia e di Gheddafi, ma al di là di notizie di facciata, tale incremento dell'economia risulta troppo lento. I dati dell'inflazione allarmano l'opinione pubblica e ostacolano non poco gli investimenti. Così la disoccupazione giovanile diventa una realtà sempre più diffusa, come diffuso è lo scontento sul susseguirsi di governi poco incisivi, oltretutto appoggiati (o, quanto meno, non osteggiati) dal principale Partito della Sinistra. Si palesa, dunque, in molte forme, la protesta proveniente dall'estrema Sinistra: i gruppi come Potere Operaio prima e Lotta Continua, Avanguardia Operaia e Partito di Unità Proletaria poi, manifestano frequentemente e duramente contro i governi di quel momento (ricevendo un'altrettanto dura repressione da parte dei vari ministri dell'interno, tra cui va segnalato il più duro di tutti, Francesco Cossiga, futuro Presidente della Repubblica "picconatore"); ma la protesta in più di un'occasione sfocia in scontri violenti di piazza, in cui rimangono implicati spesso i suelencati  gruppi, ma in cui hanno parte più attiva gruppuscoli ancora più estremisti, come Autonomia Operaia, che teorizzano la violenza come il necessario ricorso di fronte a una politica sorda alle richieste del proletariato. E la considerazione a posteriori di tali determinazioni, le porta spesso ad essere affiancate, non solo ad episodi di ribellismo come l'esproprio proletario, ma all'azione ben più criminale (a cui già si è accennato) delle Brigate Rosse.
Si arriva in questa atmosfera al 1977: le Università, prima fra tutte quella di Bologna, entrano in agitazione, si susseguono le Assemblee da cui partono, quasi quotidianamente, cortei di protesta, spesso sfocianti in frequenti scontri tra studenti e forze dell'ordine (provocatori sparsi ad arte trai due schieramenti agevolano tale eventualità). Emblema di tutto questo periodo è la cacciata dell'allora segretario della C.G.I.L. Luciano Lama, dall'Università "La Sapienza" di Roma. 
Il P.C.I. perde in generale consensi a Sinistra, perché appoggia esternamente governi impopolari. Con questo si spiega la svolta che, ad un certo momento, Enrico Berlinguer imprime alla sua politica, richiedendo decisamente la condivisione del suo Partito in responsabilità di governo. Aldo Moro sembra accondiscendere a tale determinazione. In tale prospettiva, il Sindacato abbassa le difese: accetta la mobilità, accetta il salario condizionato dall'impresa, in funzione di una maggiore facilità di assunzione di lavoro.
Ma il "compromesso storico" (come viene battezzata dalla stampa questa corrispondenza di intenti fra la D.C. e il P.C.I) subisce un brusco stop: il 16 marzo 1978, in un agguato sotto la sua abitazione romana a Via Fani, in cui la sua scorta viene falciata a colpi di mitra, viene rapito lo stesso Aldo Moro,da un commando delle Brigate Rosse. Il 9 Maggio ne verrà rinvenuto il cadavere: tutto il processo che si era messo in moto, viene arrestato, ne seguono dei governi che operano sul filo del continuo allarme, viene varata una legislazione d'emergenza di cui parte integrante è la legge sui "pentiti". Il tradizionale garantismo dell'ordinamento giudiziario italiano viene interrotto, per lasciar posto alla continua ricerca di fiancheggiatori delle B.R., visti ormai dappertutto.

Le elezioni del 1979 vedranno il calo, fin troppo prevedibile, del P.C.I.(-4%) e l'avanzata sia dei Radicali di Pannella, sia del Partito Socialista di Bettino Craxi.

Indietro a Racconto